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Articolo di giornale


Analisi Mourinho e Capello sanno gestire i singoli, Spalletti e Allegri maestri del movimento Chi pensa all' uomo e chi al gioco tra motivatori e uso del collettivo Le grandi devono solo vincere, le piccole possono sperimentare La caratteristica più singolare del campionato è che giocano miglior calcio le squadre di seconda fascia di quelle che sono in testa. Le prime hanno giocatori migliori, spesso molto migliori (Ibrahimovic, Del Piero, Kaká, Pato, Amauri eccetera), ma hanno altrettanto spesso meno organizzazione nelle fasi di gioco. Questo deriva fondamentalmente da due ragioni. La prima è che le grandi squadre non sperimentano mai, hanno solo il dovere di vincere. Prendono gli esperimenti degli altri. La loro organizzazione di gioco si basa sulle caratteristiche dei suoi giocatori, si fa tutto per portare al gol i migliori. Non è poco e non è facile, ma altro non è dato. La seconda è che in questo periodo molte squadre di seconda-terza fascia sono allenate da allenatori di gioco non da allenatori di uomini. La differenza non è piccola. Gli allenatori di uomini sono quelli che hanno grandi giocatori e non devono pensare troppo al gioco perché a quello pensano i campioni. Sono i motivatori, quelli con regole universali replicabili ovunque. Gli allenatori di gioco sono quelli che cercano fortemente un collettivo in grado di andare oltre i limiti dei singoli. Facciamo alcuni esempi. Capello è il più grande allenatore di uomini degli ultimi vent' anni. Mourinho stessa cosa con la diversità di essere un motivatore profondo. Ancelotti sa fare le due fasi, le ha anzi fatte. Da tempo in genere però allena gli uomini. Ma proprio in questa stagione stanno venendo fuori bravissimi allenatori di gioco. Allegri e il suo Cagliari, Giampaolo e il Siena; Ballardini e il Palermo, Gasperini e il Genoa, lo stesso Marino, lo stesso Mihajlovic, ultimo arrivato e di cui i maligni già dicono fosse il vero fosforo di Roberto Mancini. Continuando gli esempi, i più grandi allenatori di gioco sono stati in Italia Rocco e Bernardini. Di uomini, Helenio Herrera e Giovanni Trapattoni. Il mago era costretto a prescindere dall' andamento della partita. Aveva difetti di vista, non vedeva fisicamente il gioco, così non spostava mai nessun giocatore durante la partita. L' invenzione di Picchi regista arretrato nasce soprattutto da questo. Picchi era l' allenatore in campo, gli occhi di Herrera che, nel frattempo, non avrebbe mai ammesso di essere miope. Picchi non aveva il fisico del libero né tutto sommato i piedi. Ma aveva la testa di un grande allenatore. La coppia funzionò benissimo. Facciamo un passo avanti. Non esistono più gli schemi. Il 4-4-2 o il 4-2-3-1 sono superati da molti anni. Oggi o esiste il «senso del gioco» o non esiste niente. Cioè il pensiero, la ragione di un movimento, l' istinto guidato dentro l' istinto degli altri, in uno sforzo continuamente sospeso tra i muscoli e la fantasia. La Roma di Spalletti è una delle squadre più studiate attualmente: interessante capire come gioca, come si muove il suo collettivo. Le due regole che ne escono e hanno fatto la sua forza sono le seguenti: 1) chi ha il pallone prima lo dà a un compagno poi parte per poterlo eventualmente ricevere; 2) mai dare la palla a un compagno fermo, sempre a chi è in movimento. Questa circolazione ossessiva di palla e giocatori toglie riferimenti agli avversari ed energie a chi lo fa. Ed è il vero limite della squadra, di anno in anno crescente. Spalletti in sostanza ha allenato gli uomini a un gioco, ha fatto la sintesi che rende davvero vincente una squadra. Ma è raro, molto raro. Tanto che anche lui non ha ancora vinto davvero niente. In Italia è riuscito a Bernardini, a Bagnoli, forse a Scopigno che però aveva Riva. Rocco inventò calcio nel Padova, non nel Milan. Nel Milan vinse. Viani inventò il libero nella Salernitana e lo replicò nel Milan. Ebbe una forza, imporre il catenaccio a Liedholm, allora capo carismatico della squadra. Per farlo arrivò allo scontro fisico, ma Liedholm, che aveva studiato lotta libera, lo mise schiena a terra in dieci secondi. Nel mezzo nacque il primo grande Milan del dopoguerra. Sacchi è stato una diversità, quasi un caso a parte, un' eccezionalità non ripetibile. Credo che i suoi meriti sul movimento senza palla e su quelli difensivi siano oggi molto celebrati all' interno della sua categoria, mai prima tenera con un clandestino borghese come lui. Sacchi ha creduto di essere un allenatore di uomini, in realtà è stato uno straordinario innovatore di metodi di lavoro. Come Herrera portò la medicina e il training, Sacchi ha portato la necessità dell' atletica e della serietà della preparazione. Prima di Sacchi ci si allenava due-tre volte a settimana. Dopo Sacchi anche tre volte al giorno. Non c' è allenatore che possa ignorare gli insegnamenti di Sacchi, ma nessuno lo potrà riassumere. Si avvicina spesso Mourinho a Herrera, ma non è così. Mourinho ha l' anima eccessiva e fondamentalista del primo Sacchi. Che è durato la metà del tempo proprio per aver voluto bruciare con ingordigia. Oggi stupirà sapere che molti tecnici vanno a Siena vedere gli allenamenti di Giampaolo sugli schemi difensivi, o quelli di (udite) Ventura per gli attaccanti, a Pisa. Ma l' allievo del miracolo, il nuovo mix tra buon senso e spettacolo è giudicato Allegri. Il quale a San Siro, venti giorni fa, quando Mourinho mise tre centravanti e due ali, si alzò dalla panchina e gridò ai suoi: più sono davanti e meno sono in difesa. E mise il suo Cagliari in dieci minuti tre volte davanti a Julio Cesar. Ecco l' allenatore di gioco, fedele fino in fondo al piacere del calcio. Almeno finché qualcuno non glielo impedirà. Sconcerti Mario Pagina 48(31 gennaio 2009) - Corriere della Sera