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Articolo di giornale


Venerdì, 29 Maggio 2009Peter Pan ha conquistato il mondoJOHN CARLIN PER EL PAIS
Ha poco senso sedersi a parlare con Messi chiedendogli perle di autoriflessione. Ma sarebbe ingiusto arrivare alla conclusione che lui non sia una persona intelligente. È molto più di una persona intelligente. È un genio che riserva tutta la sua espressività al campo di calcio. La vita professionale di un calciatore è tragicamente breve, ma quanti vorrebbero essere al suo posto? Perché il piacere di assistere alle meraviglie di Messi - quelle piccole azioni quasi elettriche con la punta del piede, quei movimenti che assomigliano a quelli di uno scoiattolo quando si arresta all´istante o riparte alla massima velocità per poi tornare ad arrestarsi - è qualcosa di unico, e per la maggior parte dell´umanità non ha prezzo. Per Samuel Eto´o vedere giocare Messi in campo è come guardare dei «cartoni animati». Thierry Henry confessa: «Quello che fa è incredibile e devo stare attento a non restare incantato dai suoi movimenti». Gabriel Milito, che gioca nella nazionale argentina, ha detto: «Ogni volta ti chiedi: "Come ha fatto?". E arrivi alla partita pensando: "Che cosa farà Messi?"». Fabio Capello, paragonandolo a Cristiano Ronaldo, ha affermato che anche se il portoghese del Manchester United gioca «ad altissimo livello», quello «geniale» è Messi. Per Arjen Robben del Real «lui è di un altro pianeta», mentre Alfredo di Stéfano, un altro genio argentino, ha aggiunto: «Magari lo avessimo al Real Madrid». Ma Florentino Pérez per una volta sembra essere condannato a continuare a sognare. Messi non tradirà mai il Barça come a suo tempo ha fatto Luis Figo. «Non me andrò a Madrid né da nessun´altra parte», ha dichiarato. In campo, lui è uno tripudio di talento, energia e splendore, ma faccia a faccia con un giornalista tutte le sue risposte sono brevi e imprecise. Ha avuto dei compagni al Barça che l´hanno aiutata a migliorare come giocatore? «No, in realtà no. Il mio gioco è sempre lo stesso». C´è un qualche giocatore fuori dal Barça o dalla nazionale argentina che lei ammira? «No, penso di no... In realtà no». C´è un qualche altro sport che potrebbe interessarle? «Mi piacerebbe guardare un po´ il tennis, il basket... ma non li seguo molto...». E quando non gioca a calcio, che cosa preferisce fare? «Stare con la mia famiglia». Quello che mi ha colpito è la sua semplicità, l´assenza di pretese di alcun tipo. Non sfoggia tatuaggi visibili, né orecchini, né vestiti alla moda. Non potrebbe essere più diverso da David Beckham o Cristiano Ronaldo, che gioca a calcio come se le luci della ribalta brillassero solo per lui. Messi non rivede mai i suoi gol dopo una partita. «No, non guardo il calcio. Neanche i miei gol. Mi piace ovviamente allenarmi, giocare... ma guardarlo, in realtà no. Non sono il tipo che guarda il calcio». Nato a Rosario, città industriale a 300 chilometri da Buenos Aires, Messi vive ed è vissuto sempre esclusivamente per giocare a calcio. Famiglia, amici, professori ricordano: «Era timido, come oggi... ma con la palla si trasformava, diventava un´altra persona». Per fermarlo l´unico modo erano i calci («Senza cattiveria, erano chicos, bambini», mi ha detto), ma lui non si scomponeva. Come nel Barça, dove più lo picchiavano, più ci provava. Col Newell´s Old Boys segnò una media di 100 gol a stagione. Continuava, però, a crescere poco. Un medico gli diagnosticò un problema di insufficienza ormonale che gli impediva di crescere come gli altri, prescrivendogli un´iniezione quotidiana nella gamba, una cura molto dispendiosa. Questo convinse il padre Jorge, caporeparto in una azienda siderurgica di Rosario, a recarsi a Barcellona nel settembre del 2000 per provare a farlo assumere dalla società catalana ed avere la cura pagata. Messi aveva tredici anni quando si presentò al primo provino al Barça. «Coglioni, dobbiamo assumerlo subito» disse l´allenatore, Carles Rexach: gli bastarono sette minuti dell´ennesima partita in cui Messi affrontava giocatori più grandi di lui. Dopo qualche mese i genitori chiesero di scegliere se rimanere o tornare in Argentina per riunire la famiglia divisa, ma lui non esitò: sarebbe rimasto a Barcellona ed avrebbe trionfato.Una delle persone vicine a Messi, sia nella sfera calcistica sia in quella personale, è Juanjo Brau, un fisioterapista alle dipendenze del Barça. «Era sempre molto vicino alla gente comune, il contrario di una stella del cinema. Oggi è ancora così: umile, alla mano. La fama non lo ha cambiato. Non scorda le persone che gli stanno vicino e non gli piacciono i privilegi. Preferisce stare con la gente che essere attorniato da uomini della sicurezza». La sola presenza di Brau trasmette a Messi serenità. «So rispettare il suo spazio ed il suo silenzio».«In campo faceva le stesse cose di oggi» continua Brau, «anche se il pallone era troppo grande. Ma lui pensava ed eseguiva con una velocità tale che anche quando i rivali intuivano quel che stava per fare, non riuscivano a fermarlo». Messi vinse il Mondiale under 20 con l´Argentina e fu eletto migliore giocatore del campionato. A diciassette anni, come mi ha raccontato lui stesso in un atipico exploit d´orgoglio, «sono diventato famoso». Rivela Brau: «È stato Carlos Bilardo (ct ai tempi di Maradona, ndr) a dire che se gli avessimo fatto una radiografia avremmo trovato un oggetto tondo attaccato al piede. La palla è una continuazione del suo corpo». Quando gli ho chiesto se, come dicevano i brasiliani, accarezzasse il pallone come se fosse una donna, Messi è arrossito. Ma non ha negato.