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Arte e città, fare classifiche contagia tuttiMARINO NIOLA PER LA REPUBBLICAMartedì, 07 Luglio 2009In principio era il caos, poi vennero le classifiche. Così ogni cosa e ogni persona occupò la sua posizione. E l´ordine regnò sulla terra. La genesi delle top ten è antica quanto il mondo. E da quei tempi lontani non abbiamo mai smesso di stilare classifiche, di cercare numeri uno, in ogni campo dello scibile, del misurabile, del valutabile. Dall´arte alla musica, dall´architettura alla filosofia, dalla religione all´economia. Fino allo sport che è il padre di tutti i primati.Per i nostri antenati greci e latini le graduatorie agonistiche erano un´infallibile unità di misura del valore, tanto che venivano affidate a poeti come Omero e Pindaro che scrivevano epinici - dal greco nike che significa vittoria - poesie che immortalavano le imprese dei numeri uno. Primo fra tutti Epeo, costruttore del mitico cavallo di Troia che diventò ricco e famoso per avere scalato le classifiche del pugilato. Senza dire di Ercole le cui dodici fatiche restano nel nostro immaginario come record che nemmeno Spitz e Phelps messi insieme riuscirebbero ad eguagliare.In realtà tutte le classifiche, antiche e moderne, sono fatte a immagine e somiglianza di quelle sportive. Perché traducono l´eccellenza in primato assoluto e introducono nella spiegazione della realtà un elemento agonistico che consente di sgranare il gruppo, separando i primi dagli altri. Il problema inizia quando dallo sport si passa al resto. Perché quando un atleta arriva primo precedendo gli altri è lapalissiano che sia il numero uno. Come ben sapeva lo scià di Persia che in visita ufficiale in Inghilterra ai primi del Novecento, fu invitato alle corse di Ascot ma declinò con ferma cortesia rispondendo all´attonito ambasciatore: «Vuole che l´imperatore dei Persiani non sappia già che se dei cavalli corrono, uno di loro arriva prima degli altri?». Come dire che il primato sportivo si basa su dati oggettivi. Mentre la partita si fa più difficile quando a competere sono Velázquez e Caravaggio, i Beatles e i Rolling Stones, Mozart e Beethoven, o ancora Aldo Rossi e Mies Van der Rohe, Armani o Chanel, Apple o Microsoft, Galileo e Einstein, Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco. Come si fa in questi casi a stabilire chi è il più grande? È chiaramente impossibile. E tuttavia indispensabile. Perché la nostra esigenza di classifiche nasce dal bisogno di dare ordine al mondo, di spiegarlo, di dargli senso. E dunque quel che conta non è la verità della classifica, ma è la sua stessa esistenza. Che ci dà la sensazione di poter verificare come stanno veramente le cose. In realtà dietro ogni classifica si nasconde una classificazione, cioè un modo di fare ordine nel caos della realtà, di selezionare quello che è più importante. Detto in altri termini è il tentativo di aver ragione dell´infinita complessità del mondo sintetizzandolo in una tavola aritmetica che oggettivizza ciò che non è oggettivo. E lo traduce nel linguaggio imparziale dei numeri. Chi è primo è il numero uno, perché la matematica non è un´opinione.E oggi tutti i media, dalla carta stampata a internet, sfornano in progressione geometrica hit che vengono avidamente consumate. Ogni ora una nuova. La top ten delle università, degli ospedali, delle città a misura d´uomo, dei brand più potenti della rete, dei politici più sexy e chi più ne ha più ne metta.Il numero uno dei motori di ricerca, o se si preferisce il più consultato di sempre, fornisce ventidue milioni di risultati per la parola classifica e quindici per hit. Un autentico fumus classificationis che calma le nostre ansie e insicurezze con una continua offerta di certificazioni. È il giudizio universale in formato digitale.