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Articolo di giornale


DA SPALLETTI UNA LEZIONE A TUTTI I GENITORIDal Corriere dello Sport Stadio il racconto dell'ex tecnico della Roma Luciano SpallettiL'altro giorno Luciano Spalletti, non più allenatore della Roma, ha raccontato una storia capitatagli quando, all'inizio della carriera, era l'allenatore di squadre giovanili. Spalletti lo ha fatto parlando ai ragazzi d'un centro dedicato ai giovanissimi. Vi racconto una storia- ha detto. Ed ha subito acceso la curiosità dei piccoli giocatori.  "Avevamo formato una bella squadretta, una delle tante, e quando si trattò di iniziare il torneo c'era il problema di nominare il capitano". I ragazzini che lo ascoltavano con palese avidità, pensarono che il capitano sarebbe stato il più forte della squadra e invece Spalletti, sorridendo, li sorprese. "Ho nominato capitano il ragazzo che aveva ottenuto la pagella più brillante a scuola". Poi rivolgendosi ad alcuni adulti che lo accompagnavano, Spalletti confidò che il padre d'un ragazzino certamente in erba, andò da lui a protestare, per la mancata investitura di capitano,minacciando di togliere suo figlio dal gruppo.Lo spettacolo dei genitori aggrappati alle reti di recinzione dei campetti ove centinaia di ragazzini passavano per seguire corsi di calcio, sospinti dalla loro passione ma spesso anche per la smania dei genitori di vederli crescere con le stimmate del campione fortunato, sono sotto gli occhi di tutti. Basta frequentare i campetti. Spesso sono reti affollate di gente che segue le innocenti partite con impeto che travalica la passione. I ragazzini corrono in campo. L'istruttore li richiama, li sollecita col proposito evidente di farli divertire, ossia di farli giocare, come ovviamente deve essere negli anni ancora verdissimi dei giocatori, ma lo spettacolo che s’avverte al di là della rete di recinzione è di tutt'altra natura. Le sollecitazioni dei genitori ingombrano il campo, disturbano il lavoro e il gioco dei ragazzini, accendono tensioni delle quali naturalmente i protagonisti sono destinatari e vittime. Volano anche insulti, spesso diretti all'allenatore che nn s’avvede in tempo del valore d'un ragazzo o d'un fallo che un avversario ha commesso nei suoi confronti. Insomma è tifo della peggior qualità ed è contro quest'onda di contestazioni istintive che spesso anche volgari che buona parte del lavoro degli allenatore s'infrange.Il problema non è solo del calcio. L'altro giorno Federica Pellegrini parlando di giovani promesse nello sport ha praticamente denunciato lo stesso problema. Ha detto: "La famiglia può portare alle stelle o distruggere un talento. Molti ragazzi sono rovinati da genitori che anche quando mi portano a modello non capiscono che se la ragazzina non riuscirà ad emulare Federica, rischiano di crearle un trauma per tutta la vita. Cresce complessata".E' vero. Ed è anche qui palese la spinta negativa della famiglia quando i genitori si mettono in testa d'avere in casa il futuro campione, il fenomeno, magari il fuoriclasse destinato a guadagnare, col suo talento e la sua popolarità, un sacco di quattrini. Ma non è tutto qui. Ci sono anche genitori che avvicinano il medico della squadra nella quale il ragazzino gioca, sempre inseguendo un sogno e una passione, e s’informano con grande determinazione se esiste qualcosa per irrobustirlo, per alimentarlo meglio, per farlo diventare più forte. Lo fanno, non c’è medico in tutti i campi dello sport che non sia pronto a raccontare storie quotidiane di tale aberrante e inconsapevole crudeltà. Nessuna famiglia lo fa per cattiveria. Però lo fa. Forse perche sospinta da una società che vede nel successo, possibilmente conquistato in fretta, l'unico valore autentico da inseguire nella vita, fin dalla tenera età.Ed invece giusto dire che è necessario imparare a perdere prima ancora di imparare a vincere.Fonte : Sergio Neri la Corriere dello Sport (11/09/09)