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Articolo di giornale


Venerdì, 20 Novembre 2009Ma se l’avessimo fatto noi, che ci avrebbero detto?BEPPE SEVERGNINI PER IL CORRIERE DELLA SERAE se Henry fosse stato Cassano? (scusi, Lippi: diciamo Pazzini).Se questa frase — «... il gol può non essere valido ma ce lo prendiamo» — l’avesse pronunciata Fabio Cannavaro invece di Sebastien Squillaci? Se fosse stata l’Italia, magari con un presidente della Uefa italiano (e non francese come Platini) a qualificarsi in modo sleale ai Mondiali 2010, cosa ci avrebbero detto? Risposta facile: di tutto, come al solito. Anzi: un po’ più del solito. Evitiamo moralismi facili: anche il ri­gore contro l’Australia, quello che ci ha permesso di proseguire il cammino mon­diale (Germania 2006) non era cristalli­no: e non ricordo un atto collettivo di do­lore, in Italia. Ma un rigore è sempre di­scusso/ discutibile. Il fallo di mano, in uno sport che si gioca coi piedi, è la quin­tessenza della slealtà, e ha una spiacevo­lezza particolare. Ricordate il gol di Ma­radona contro l’Inghilterra, a Messico 1986? Indimenticabile, e infatti mai di­menticato.Così nessuno dimenticherà quest’in­giustizia verso una della nazioni, delle nazionali e dei c.t. più simpatici in circo­lazione. L’angloirlandese brianzolizzato del Trap non è una lingua perfetta; ma l’ho ascoltato, l’uomo è efficace come un professore di Harvard. Il fatto che sia ita­liano ci consente di guadagnare qualche punto, nella classifica ufficiosa del fair play. La Francia, invece, ne perde altri, dopo quelli lasciati sul campo (dell’Olym­piastadion) per colpa di Zidane, e dei successivi tentativi di difenderlo.Perché, allora, se oggi l’Italia fosse al posto della Francia, ne avremmo sentite di tutti i colori? Per due motivi. I soliti. Il primo: abbiamo dei precedenti. Purtrop­po — lo scrivo con dispiacere — non ab­biamo la reputazione di essere un Paese corretto. Lo sport paga le colpe della poli­tica, dell’amministrazione e non solo. Tangentopoli, e il fastidio con cui l’abbia­mo rimossa, non ha aiutato. La rappre­sentazione giornalistica, letteraria e cine­matografica racconta un Paese poco tra­sparente (considerate questo understate­ment una forma di patriottisimo). Mi­chela Vittoria Brambilla e il suo principa­le direbbero che la colpa è dei giornalisti, dei letterati e del cinema: ma sappiamo che non è così. Transparency Internatio­nal, un’organizzazione anti-corruzione, ci piazza in 63ª posizione, dopo Malta, Capo Verde, la Polonia, la Malesia e la Turchia. La Francia è 24ª, appena sotto Regno Unito (18˚)e Usa (19˚).Ultima (180ª) la Soma­lia. Secondo motivo per cui, se la manina di Henry fosse stata italiana, sarebbe ca­scato il mondo: siamo un Paese ipnotico che attira invidie, rimpianti, amore delu­so, passioni non sempre corrisposte. L’Italia — sono in giro per conferenze ne­gli Usa, e lo vedo — non è mai indifferen­te. Ci manca, purtroppo, il senso dello Stato: non la personalità nazionale. Sia­mo fascinosi ma, troppo spesso, inaffida­bili. «The land of human nature», la ter­ra della natura umana, scrisse un viag­giatore americano cinquant’anni fa. È cambiato poco: restiamo un Paese di grande attrazione, continue tentazioni e difficile lettura. A una giornalista che gli chiedeva cosa fosse il jazz, Louis Arm­strong rispose: «Lady, if you have to ask, you’ll never know» (signora, se deve chie­derlo, non lo saprà mai). Potremmo dire lo stesso a chi vorrebbe racchiudere l’Ita­lia in una definizione.La spiegazione può sembrare troppo antropologica, ma è necessaria per capi­re cosa sarebbe successo se la qualifica­zione fraudolenta l’avessimo ottenuta noi, al posto della Francia: il finimondo. Francia che comunque, ripeto, guada­gna posizioni nella Classifica Mondiale dell’Antipatia. Vedremo come si compor­terà contro di noi in Sudafrica. Perché, state certi, ce la ritroviamo tra i piedi di sicuro.