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Articolo di giornale


Venerdì, 09 Aprile 2010 Meglio copiare che inventare di FRANCO GIUBILEI PER LA STAMPA - Fesso chi sperimenta e rischia, perché ci sarà sempre qualcuno più furbo di lui, pronto a copiare e a vincere. Da un punto di vista morale è un bello schiaffone ai sani principi educativi la ricerca che sarà pubblicata oggi sulla rivista scientifica «Science», eppure lo studio condotto da quattro università europee, fra cui quella di Bologna, ha un significato inequivocabile: copioni batte innovatori 3 a 0. «Si era sempre pensato che copiare in modo così indiscriminato non portasse a buoni risultati e invece la nostra indagine ha dimostrato che le strategie vincenti sono quelle per cui si prende quasi esclusivamente dal lavoro altrui», racconta Stefano Ghirlanda, 37 anni, laureato in Fisica e ricercatore al dipartimento di Psicologia dell’ateneo bolognese. «Lo studio è stato condotto con le modalità di un torneo, coinvolgendo oltre 100 gruppi formati prevalentemente da professori e ricercatori universitari, anche se le sorprese maggiori sono arrivate da ragazzi di 16-17 anni con esperienze informatiche alle spalle, che alla fine si sono piazzati meglio dell’80% dei ricercatori professionisti», aggiunge Ghirlanda. A ogni squadra è stato chiesto di sviluppare una strategia di successo nel quadro di un sistema competitivo controllabile sotto un profilo matematico e così ogni gruppo aveva a disposizione un centinaio di azioni diverse dalle quali ricavare le soluzioni più lucrose. Ogni concorrente, poi, aveva tre possibilità: attuare un comportamento già conosciuto, osservare le giocate degli altri oppure agire innovando. Un gioco sofisticato di apprendimento con in palio 10 mila euro, che si è concluso con il risultato che nessuno si aspettava: «Che si tratti di guadagnare soldi, conquistare potere, accumulare conoscenza o primeggiare nello sport, in ogni circostanza in cui si tratti di decidere come meglio allocare il proprio tempo per compiere le scelte vincenti tra una varietà di opzioni possibili e in un ambiente in continuo cambiamento, le migliori strategie sembrano essere quelle che fanno ricorso all’emulazione dei propri simili», commenta il fisico. Sfatando i detti del chi fa da sé fa per tre, o del «chi osa vince», e via banalizzando sulla strada dei luoghi comuni di cui è infarcita la società, lo studio elaborato dalle Università di Bologna, Stoccolma, Vasteras e St.Andrews ha evidenziato tutt’altro: «Prima si pensava che copiare non fosse proficuo, perché non c’era la garanzia che fosse una scelta efficace. Invece, soprattutto quando un’informazione diventa obsoleta, posso copiare una nuova strategia nella speranza che chi l’ha elaborata abbia avuto il tempo di sperimentare soluzioni nuove». Ovviamente il sistema non potrebbe funzionare se non ci fosse nessuno disposto a osare in proprio: in altre parole non è concepibile un ambiente in cui ognuno riproduca pedissequamente quel che fa qualcun altro. «Serve qualcuno che periodicamente si cimenti nella sperimentazione – dice Ghirlanda –. Serve un certo numero di innovatori, pur tenendo conto del fatto che nessuno introduce dei cambiamenti a partire da zero, ma si muove a sua volta sulla base delle innovazioni altrui». Come dire che gli sperimentatori sono in genere anche dei buoni copiatori, il che non toglie però che il senso dello studio sia inequivocabile: «Le strategie di maggior successo sono quelle di chi copia e basta, ammesso che questi lo faccia quando è opportuno farlo: nei momenti di crisi, quando la qualità del prodotto che dobbiamo scegliere peggiora, è utile vedere come si comportano gli altri, e copiare di conseguenza». Abituati come siamo a considerare gli emulatori dei parassiti, dovremo abituarci al concetto che anche il copiatore più passivo ha un ruolo positivo, in quanto serbatoio di conoscenze che è in grado a sua volta di trasmettere. Difficile quantificare le quote di copioni e di copiati, ma nella situazione di medio rischio del torneo «le strategie che copiavano esclusivamente quelle degli altri erano il 50-60%, contro il 40-50% di chi provava a fare qualcosa di nuovo». Certo, chi si accontenta di emulare va protetto, ecco perché le società si sono inventate i diritti d’autore. Sempre tenendo a mente che l’autore di una scoperta spesso ha trovato l’uovo di Colombo, cioè «una cosa banale e facile da riprodurre».