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Articolo di giornale


Giovedì, 15 Aprile 2010Il Portsmouth insegna che il calcio è ancora il gioco più bello del mondoBEPPE DI CORRADO PER IL FOGLIO - Per trovare il calcio bisogna andare a Portsmouth. Lì c’è la storia dell’anno. Più del Barcellona che domina il mondo, più del Real che non vince niente dopo una campagna acquisti da Banca mondiale, più della Roma che sorpassa l’Inter dopo una corsa lunga otto mesi. Lì c’è la storia perché in un colpo si lavano le coscienze di tutto il mondo del pallone. Il Portsmouth racconta che si può perdere, fallire, retrocedere eppure giocare comunque. Un pallone, due porte, undici contro undici e chi vince vince. Il contrario del balletto su Calciopoli, il contrario delle voci sulle presunte pastette da fine campionato, il contrario delle partite che finiscono dopo un tempo perché una squadra smette di giocare per manifesto disinteresse per risultati e classifiche. A Portsmouth oggi c’è il peggio che si trasforma in meglio. Perché la squadra è ufficialmente retrocessa la settimana scorsa dalla Premier League alla Championship: era già messa male in classifica dall’inizio della stagione, poi il colpo di grazia l’ha avuto qualche settimana fa quando la Football Association l’ha penalizzata di nove punti per colpa del fallimento del club. Con 70 milioni di euro di debiti il Portsmouth è la prima squadra inglese a finire in amministrazione controllata in 18 anni di Premier League. Un primato scomodo, una figuraccia globale, perché anche i Pompeys – il nomignolo accompagna da sempre i giocatori della cittadina sulla Manica – sono un club internazionale: dopo tre cambi di proprietà in sette mesi, a febbraio c’era stato l’arrivo dell’uomo di affari di Hong Kong Balram Chainrai. Sembrava che si potesse entrare in un periodo di stabilità, ma poi l’affare è sfumato lasciando il club affogato in una situazione irreversibile.Avrebbero potuto chiudere a Portsmouth. Anche perché il rischio finale non è quello di retrocedere in serie B, ma di essere radiati dal calcio inglese e quindi di essere costretti a ricominciare dai dilettanti. Sarebbe stato facile mollare, da un certo punto di vista sarebbe stato perfino ovvio. A Portsmouth no. Il calcio s’è preso la rivincita sulle dicerie, sulle voci, sul suo essere un mondo di viziati. La prima cosa che è successa è stata questa: Avram Grant, l’ex allenatore del Chelsea e oggi mister dei Pompeys, aveva chiesto di andar via per allentare la pressione sulle casse societarie esercitata dal suo ricco stipendio. Alla fine è rimasto: nonostante le sirene dell’Hull City, non ha voluto lasciare il Portsmouth: “Avevo pensato di lasciare questo club ma i tifosi mi hanno convinto a restare – ha detto – Resterò fino alla fine, voglio rispettare il mio contratto e non ho alcuna intenzione di mollare. Questo club è diventato molto importante per me. Ho chiesto ai nuovi vertici della società un minimo di stabilità e so che ci stanno lavorando. Ognuno però deve fare il suo”. Cioè i giocatori. Cioè i tifosi. Cioè il club. Ecco, i primi hanno giocato come se nulla fosse. Quando la squadra è stata penalizzata mancavano dodici partite alla fine del campionato: loro non hanno mollato niente. Se perdono succede perché gli altri sono più forti. I secondi uguale: lo stadio di Portsmouth continua a essere pieno anche se la retrocessione è matematica, anche se in futuro il calcio in città potrebbe sparire. E il terzo? Il club avrebbe potuto decidere di non pagare gli stipendi, di smantellare la squadra. Non è successo. Piuttosto è successo il contrario: la società ha chiesto l’ultimo sforzo: c’era la semifinale di FA Cup da giocare a Wembley questo week-end. E che fai? Vinci? Non è possibile, non per la mentalità dominante. Invece il Portsmouth ha vinto. Finale, cioè quanto non avrebbe potuto sperare neanche senza il caos finanziario. Finale contro il Chelsea, cioè contro l’antitesi pura dei Pompeys. Finale tra ricchi e neo pezzenti: rivincita morale e sportiva al chiacchiericcio pallonaro che vuole risultati scontati per situazioni scontate. Portsmouth è il calcio, da oggi fino al 15 maggio, il giorno della finale di FA cup. Wembley, di nuovo. Chi vince? Forse non è così ovvio.