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Post n°91 pubblicato il 18 Febbraio 2009 da as_scacciapensieri

«Così insegno il mio gancio cielo ai ragazzini ricchi e capricciosi»

Se i numeri nello sport sono tutto, quelli di Kareem Abdul Jabbar sono impressionanti: 20 stagioni e 1.560 presenze nella Nba, 38.387 punti (record imbattuto) in carriera. Poi 6 titoli Nba (e 3 Ncaa), 6 volte Mvp, 19 partecipazioni all'All Star Game. Ma i numeri per KAJ non bastano: laureato in Storia, scrittore, musicista jazz, attore, allenatore. E l'impegno nella lotta per i diritti civili. Più che un atleta, una leggenda vivente.





Kareem Abdul Jabbar, come ci si sente ad allenare ragazzini ricchi e capricciosi?
«È un ambiente diverso, e te ne rendi conto subito. Il gioco è arrivato a un punto tale da diventare un'occasione finanziaria straordinaria per qualsiasi ragazzino abbastanza fortunato da entrare in una squadra».


E lei ci si ritrova, in mezzo a questi ragazzini?
«Alle volte è così difficile... Pensano di sapere già tutto, sono insofferenti a qualsiasi osservazione. Saltano, schiacciano, e solo per questo credono di essere dei fenomeni. Poi, che la squadra perda di 20 punti, a loro non interessa ».
Hanno rispetto per l'uomo che ha il record di punti nella Nba?
«Mah, forse si rendono conto che capisco qualcosa di questo gioco».
Che differenza c'è tra la sua generazione di giocatori e quella di oggi?
«Ai miei tempi si cresceva giocando nel college, oggi si impara nei playground, perché dal liceo si passa direttamente alla Nba. I giocatori guadagnano molto, e da subito, ma hanno perso la possibilità di imparare il gioco, e i suoi valori etici, in una situazione senza stress».
Se oggi si pensa solo a schiacciare, a lei lo impedirono con una regola su misura.
«Quella regola prima mi ha fatto arrabbiare, poi mi ha spinto a cercare alternative ».
E qui è nato il suo marchio di fabbrica, il gancio cielo.
«In realtà avevo cominciato a fare pratica di questo tiro sin dalle elementari, ed era già molto efficace».




Come vive la sua altezza?
«Be', alle elementari compagni mi consideravano un freak. La maestra mi chiedeva di sedermi e io rispondevo: sono già seduto. L'altezza può far sentire diversi, ma nel mondo bisogna imparare ad adattarsi».
Sarà difficile passare inosservati, quando si è alti 2,17.
«Certo, se Al Pacino decide di andare in un supermercato, si infila un cappellino da baseball, un paio di occhiali scuri e il gioco è fatto. Io anche con cappellino e occhiali non riuscirei a nascondermi.
Ma è una cosa che ho imparato a gestire per vivere la mia vita».
Lei è stato protagonista dello Showtime dei Lakers. Com'era giocare con Magic?
«Un'esperienza divertente ed eccezionale. Dieci anni meravigliosi. Avere la possibilità di giocare con una personalità del calibro di Magic Johnson rappresenta il punto culminante di una carriera. Ho avuto la fortuna di giocare con Magic, ma anche con Oscar Robertson. Dei veri leader».
Si dice che tra lei e Magic i rapporti fossero piuttosto tesi. Lei però non ha mai fatto come Shaq, che se n'è andato pur di non giocare più con Kobe.
«Mai, in nessun momento, ho pensato di non voler più giocare con lui. Anche se abbiamo avuto divergenze personali, questo non ci ha mai impedito di giocare insieme. Nello spogliatoio c'era sempre una bella atmosfera, una sensazione di unità tra di noi».
Lei ha smesso di giocare a 42 anni. Dica la verità: quante altre stagioni avrebbe potuto continuare?
«Credo ancora un paio d'anni. Ma è anche questione di qualità. Se non potevo rendere al meglio, non ne valeva la pena».
Ora collabora con Phil Jackson ai Lakers. Ha in mente di diventare capo allenatore nella Nba?
«Potrebbe succedere, ma non ho ancora idee precise».
Le spiace non aver partecipato a un'Olimpiade?
«Sarebbe stata una bella occasione, ma purtroppo le cose sono andate in un altro modo».
È stata una sua decisione. Fu lei a boicottare i Giochi del 1968.
«Fu una scelta difficile, ma ci avevo pensato molto. La squadra olimpica dava un senso di armonia razziale che nella realtà non esisteva».
Nel '68 lei boicottò i Giochi. Nel 2008 Barack Obama è diventato presidente degli Stati Uniti. Che cosa è cambiato in questi 40 anni?
«Finalmente l'America è diventata un paese capace di giudicare le persone in base alle loro qualità, e non al colore della pelle».......
.......


Se dovesse definire con tre parole Kareem Abdul Jabbar, che parole userebbe?
«Direi che è un uomo che ha ancora molto da imparare».
Arriverà il giocatore che riuscirà a battere i suoi record?
«Difficile. Se penso a quanto guadagnano i campioni di oggi, non credo che resteranno in campo tanto a lungo quanto sono rimasto io».


Roberto De Ponti
17 febbraio 2009

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