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Il MITO


Oggi è molto usato scrivere o dire “…sei un mito” oppure “…sei mitiko” dove mitiko è il relativo aggettivo. Sostituendo la consonante “c” , più usata nella comune grafia della parola, con la consonante “k”.Partendo dall’originale e riconosciuto significato della parola mito e considerando il senso di durezza che suscita la pronuncia della consonante k, ho dedotto che si è voluto, da parte dei vari autori richiamare l’attenzione del lettore circa l’oggetto di riferimento dell’aggettivo.Spero che questa deduzione, tutta mia, non susciti risentimento nella schiera dei numerosi studiosi che hanno preso in considerazione la parola in questione sotto i punti di vista religiosi, filosofici, psicologici e scientifici.L’espressione, molto usata dai giovani che ravvede nell’immagine di un personaggio – tratta dal  grande o dal piccolo schermo, dalle pagine di un rotocalco – le caratteristiche necessarie per esercitare un influsso determinante nel comportamento di vita quotidiana: il calciatore della squadra del cuore, o l’eroe di celluloide come esempio da seguire da seguire per dimostrare bravura, resistenza fisica, lealtà, senso di giustizia, ecc. o la donna che nel calcare la passerella della mondanità – o del gossip – viene assunta come riferimento per distinguersi nei rapporti sociali quotidiani in fatto di eleganza, d’indipendenza, di spregiudicatezza.
Ma “mito” è  una parola antica.Stando alla sua etimologia, furono i Greci che sintetizzarono un processo logico primordiale in una parola, volendo così significare la necessità – sentita nella notte dei tempi – di parlare, raccontare, tramandare.Cercherò di immedesimarmi nei primi esseri viventi organizzati mentalmente a tal punto da tentare di rapportare talune situazione caratterizzanti la vita quotidiana a cause in quel momento non razionalizzabili; ad esempio il tuono: ne vivo il rumore ma non conosco la causa che lo genera; il fuoco: ne vivo il calore, la luce, il dolore della bruciatura, ma non ne conosco l’origine.Cioè la messa a punto di un processo logico che ponesse a confronto la realtà esterna in cui vivevano, con la loro interna; dunque, un tentativo di associare a cause esterne reazioni intime.Ad es: il fulmine che miete terrore e genera morte, il fuoco che produce sensazioni di benessere (calore) ma anche sensazioni di disagio (dolore per le bruciature), gli odori delle piante o dell’habitat circostante che genera repulsione o gradimento. E così via.Da queste situazioni vissute dal singolo essere, nasce il desiderio o, meglio, la necessità di informare il convivente e recepire da questo, le sue reazioni interne.Potrei, quindi, ipotizzare che la stessa causa esterna abbia generato risentimenti uguali od analoghi nella comunità primordiale e, di conseguenza, la coordinazione di provvedimenti comuni da seguire per affrontare la causa.Nasce così il Mito: la necessità di comunicare ad altri le sensazioni provate al cospetto di una causa. Direi che la causa, proprio perché mentalmente inaccessibile, potrebbe essere stata assunta quale dispensatrice e regolatrice di situazioni intime vissute – nella qualità – anche nella comunione.Da questo momento in poi la comunione tenterà di trarne tutti quei benefici che possono salvaguardarla per l’avvenire e di evitare quei malefici che possono eliminarla: cioè assicurare la sopravvivenza onde garantire la trasmissione del vissuto.In parole povere, la comunione, mette a punto, i dispositivi più adatti per ringraziare del bene profuso e quelli più adatti per convincere “la causa” a non emanare il male.I dispositivi sarebbero le leggi, i regolamenti, le raccomandazioni da seguire per avere sempre il meglio dalla comunità; nasce, forse così, la religione intesa come raccolta di suggerimenti per ben vivere e il rito come modalità per il loro uso.Nel corso dei millenni, la necessità di comunicare è stata oggetto di analisi da parte dei pensatori.Così il mito veniva considerato come il prodotto di una mentalità arcaica che -  pur vedendo in quelle cose, in  quegli animali, i quei fenomeni della natura, realtà esterne indipendenti dalle proprie caratteristiche – ne tentava l’umanizzazione giustificandone ogni sorta di metamorfosi pur di costituire un “tutto” continuo nel tempo; non a caso molti riti religiosi del passato costituiscono la ripetizione, nel presente, di una vicenda mitica spesso realizzata in forma drammatica.Oppure il mito viene dapprima definito come fatto idealizzato in corrispondenza di una carica dovuta ad una eccezionale partecipazione fantastica o religiosa; basta scavare nella mitologia greca.Oppure viene definito come immagine dal duplice intento di riassumere un processo logico o di sostituirsi alla razionalità; secondo quanto esposto dai maestri della filosofia greca.Oppure definito come quanto è capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un’epoca elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente; è sufficiente accennare a Napoleone e al problema della razza assurti, per l’interesse suscitato in vasti strati sociali e in vari tempi, a miti.Oppure definito come quanto – pur concettualmente valido – sembri destinato a non trovare riscontro nella realtà effettiva; come il problema del disarmo.Mi sembra di capire che, in ogni epoca, la comunità attuale ha interpretato, analizzato, studiato e manipolato quella primordiale necessità di “trasmettere” che giustifica l’innato senso della sopravvivenza. Ma la sopravvivenza di cosa?Della specie, della cultura, del pensiero.Con il trascorrere dei secoli e – quindi – con lo sviluppo del processo mentale molti miti sono stati esaltati e, talora, inventati per influire sulla “informità” delle masse viventi a scopi politici, sociali e religiosi; talora scambiati per favole.Ma il mito si distingue dalla favola o dal romanzo non per diversità dei contenuti, ma per un diverso atteggiamento della società nei suoi confronti; si ha favola o romanzo quando un racconto è presentato ed accolto come opera  di pura fantasia; si ha mito quando esso assume carattere sacrale e richiede un’adesione di fede: il mito è, innanzi tutto, verità.Molte curiosità, molte interpretazioni su reperti archeologici e su documentazioni scritte accrescono il mistero che aleggia attorno a questa spinta verso la verità che tanto arrovella, ancora, l’attuale pensiero umano.