Il mio giornaleContro gli inceneritori
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L'incidente, ormai definibile come strage, di qualche giorno fa a Torino ha riproposto con forza il tema della sicurezza sul lavoro. Variabile dipendente di un capitalismo sempre più selvaggio, la tutela dell'incolumità degli operai, degli impiegati, dei lavoratori in generale è derubricata da tempo a dibattito ciclico, umorale, sollevato soltanto quando le cronache parlano di incidenti mortali. Anzi talvolta solo la morte contemporanea di più lavoratori riesce a conquistare le prime pagine dei quotidiane e la centralità del confronto politico. Penso alla morte della signora Reggiani, barbaramente assassinata a Roma. Sono stato profondamente scosso da quell'evento e, però non posso non registrare come a mesi, ormai, di distanza da quel tragico fatto di cronaca, la discussione parlamentare, l'attenzione dei media siano ancora ossessivamente concetrate sulla sicurezza delle città e sulla criminalità comune. Eppure in Italia, negli ultimi 20 anni, mentre i morti attribuibili a fatti di criminalità comune si sono dimezzati, quelli determinati dagli incidenti sul lavoro sono rimasti tragicamente costanti nella loro enormità numerica. La media dei morti sul lavoro è di c.a 4 morti al giorno. Senza contare i feriti che spesso sopravvivono soltanto al prezzo di gravi menomazioni fisiche e psicologiche che compromettono pesantemente la possibilità di vivere una vita dignitosa. Un vero e proprio bollettino di guerra. Una specie di fronte bellico immaginario per il quale il nostro Stato non s'impegna, sul piano finanziario e organizzativo, come fa quando si occupa dei militari in "operazioni di peace-keeping". Quando muore, viene ferito o eccelle uno dei nostri soldati, (giustamente) le istituzioni si mobilitano e la politica si muove come un sol uomo con odi patriottiche ed esaltazioni nazionaliste. Onestamente, non mi sembra che avvenga lo stesso quando accadono incidenti sul lavoro, e ciò nonostante il triste elenco si rimpolpi sempre più di nomi, di vite perse e di famiglie spesso gettate nella disperazione. Posso dire che mi sembra che, nel nostro piccolo, sia accaduta la stessa cosa a Corato? Dopo qualche notizia, discretamente apparsa su qualche organo d'informazione locale e nessun, ripeto nessun commento istituzionale e politico, la vicenda della morte sul lavoro di Vincenzo De Palma, operaio edile di 53 anni, è stata completamente dimenticata. Nessun atto istituzionale, nessun ricordo ufficiale, nessuna cerimonia e nessuna forma di sostegno alla famiglia, della quale il povero Vincenzo era unico sostegno e guida vera. Apprendo, in queste ore che un militare di origini coratine - ma ormai da lungo tempo residente al Nord - viene ricevuto in veste ufficiale dal Sindaco e viene premiato con medaglia d'oro (dopo aver ricevuto analogo premio dal Presidente Napolitano) per una sua valorosa azione in teatro di guerra. La notizia con tanto di foto campeggia sui principali organi di informazione locali. Non dico che non bisognasse degnare questo militare professionista di tanto ringraziamento istituzionale, nè pretenderei eguali decorazioni per i feriti sul lavoro (la retorica istituzionale post mortem è quanto di più patetico possa realizzarsi), però un minimo di attenzione in più per chi ha lasciato la propria vita su un cantiere per portare a casa il denaro necessario per mantenere la propria famiglia bè, questo si, me lo sarei aspettato. E mi aspetterei che chi, a vario titolo, ha il dovere istituzionale di occuparsi della sicurezza e della salute dei propri concittadini si desse un po' più da fare per prevenire situazioni come quella in cui versa oggi la famiglia di Vincenzo. Che dite ce n'è abbastanza per essere indignati?
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