Il quaderno viola

Post N° 10


Torino, maggio. Mia madre ha organizzato una cena tra compagni di classe, da quando ci siamo trasferiti in questa grande casa marrone, ricca, niente è come prima. E per fortuna sono riuscita a sfuggire. E' ormai tramontato il sole, nella violet hour di Eliot, e nel cielo striature di nuvole blu preludono alla sera che sta per calare, ma all'orizzonte un lampo viola getta una luce sulle strade di questa città ancora sconosciuta, palazzi senza significato, strade larghe senza nome. Svolto per una traversa e all'improvviso mi trovo in un piazzale larghissimo, la strada è lucida di pioggia, e contro il cielo del crepuscolo si staglia imponente una costruzione di vetro e cemento, con una grande cupola in cima. Deve essere lei, deve. Imbocco l'entrata di questa grande e stupefacente scuola e subito sono nell'aula principale. In una grande stanza circolare sono sistemati dei banchi di legno scuro, pullulano di studenti equipaggiati solo di penne e fogli. E al centro c'è lui. Non so per quanto tempo ho desiderato incontrarti. Faccio un passo avanti in direzione dei gradini che probabilmente mi faranno imboccare la stanza, ma mi adagio sul primo e sollevo gli occhi al cielo, guardandolo attraverso il vetro della cupola. Ha proprio un colore straordinario. Il chiacchiericcio intanto si infittisce, gli studenti devono aver terminato la consegna e questo attira la mia attenzione. In una frazione di secondo accade. I suoi capelli brizzolati, la sua maglia nera si voltano lentamente, come un incantesimo che non mi permette di compiere nemmeno un battito di ciglia. I suoi occhi si posano sui miei, in uno sguardo che sarà durato un secondo infinito e all'improvviso i miei, di occhi, si riempiono di lacrime. Alcune sgorgano libere fino a scivolare sul pavimento. Sorrido debolmente voltando le spalle, quindi prendo il primo corridoio che mi si para dinanzi e penso il vestito del tuo libro. Tra le ricche mura ornate di dipinti e arazzi lussuosi, tra poltrone di pelle verde e psicologi in analisi, tra lampade e tavoli scuri, cerco di districarmi da questo labirinto, quando incontro una donna austera. Le chiedo di uscire e mi indica l'angolo della stanza, su cui sembra disegnato un grande fuoco. Mi avvicino e per la prima volta da quando sono qui non penso a niente. E di colpo mi ritrovo fuori.A casa. Mi aspetta l'amore, su in camera nel mio letto azzurro, l'unico pezzo di cielo in questa casa di terra, e finalmente sono a casa. Ma una cena con i compagni di classe mi aspetta e scopro anche un vestito. Un vestito portato da un uomo dai capelli grigi. Il vestito del libro. E di nuovo gli occhi mi si velano di lacrime, beffarde. Corro via. E' l'alba e c'è il mare. Non sono a Torino, certo. Qualcuno mi ripete i miei obblighi ed impegni, ma è come una zanzarina insignificante la sua voce. Ho qualcosa di diverso adesso, e poi ho il mare.    Giuro che non voglio essere come lui [Baricco] Voglio solo essere un suo personaggio.