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50 anni di Amarcod

Post n°1187 pubblicato il 21 Gennaio 2022 da monari

Rivedendo il film di Fellini mezzo secolo dopo
"il Ponte", 23.01.2022, n. 3: "50 anni di Amarcord"


Il 28 dicembre scorso la Rai ha riproposto sul primo canale il capolavoro felliniano di "Amarcord", uscito nel 1973. Rivederlo a quasi mezzo secolo di distanza, significa tante cose che ci fanno misurare la nostra capacità di registrare emozioni diverse. Allora cercavamo il riflesso nazionale di fatti locali, grazie alla genialità di un grande regista che raccontava la sua Rimini. Che era anche la città in cui vivevamo noi, e di cui conoscevamo per via famigliare tanti personaggi od episodi inseriti nella pellicola. Il film era il trionfo di un mito, la glorificazione di un personaggio. Ovvero del regista Fellini. E ciò ci rendeva felici ed orgogliosi.

Adesso, quasi 50 anni dopo, una rilettura attenta di quelle immagini ci obbliga a ripiegarci su noi stessi, sulle cose narrate od ascoltate, su certi accenni fatti nella vita di ogni giorno in cui le immagini del film rivivono talora con lo stesso sorriso dei personaggi che esse raccontano, e talora come richiamo all'autobiografia vera di quanti allora c'erano e poi hanno vissuto drammi, illusioni, speranze e delusioni nel corso del tempo.
Se nel 1973 tutto sembrava far sorridere o ridere anche nei momenti di maggior tensione o drammaticità, adesso certe scene ci aiutano a capire meglio il percorso della società italiana o certe vicende personali vissute da giovani come ribellione.
Il ricordo personale va a quel 1961, con il centenario dell'unità italiana vissuto a scuola, nelle Magistrali comunali che dovettero partecipare alle celebrazioni dello stesso centenario, organizzate dal Comune di Rimini, con una delega speciale al Maestro Antonio Di Jorio (1890-1981) che insegnava allora Musica nella nostra classe quarta e che doveva farci esibire davanti al pubblico ed alle autorità con il celebre "Va pensiero" verdiano.


Non avevo nessuna voglia di apparire come cantante o corista, e di rubare tempo allo studio per un esame finale di abilitazione, che si prevedeva complesso e difficile. Poi, sinceramente, ricordando i discorsi che si sentivano in casa od in giro, circa quello spirito patriottico che a forza di canti e sfilate era sfociato nella guerra di cui conservavamo in ogni casa continui dolori e richiami, non mi piaceva per nulla fare la bella statuita per obbedire agli indirizzi politici che, per quanto opposti a quelli che ci avevano portato sotto le bombe, erano sempre atti supremi ed indiscutibili del cosiddetto "Potere".
Durante la prova alzai non so se dire il tono o la nota, ma di sicuro feci una bellissima stecca, con quel passaggio delle ali dorate. Il maestro Di Iorio si fermò, mi guardò. Mi conosceva bene. Lui e mio padre avevano organizzato al Kursaal di Rimini per il ferragosto del 1936 quel Festival della canzone italiana che poi fu ricopiato da San Remo. Poi aprì dolcemente le labbra, per dirmi: "Montanari, vai fuori". Io ancor più dolcemente lo ringraziai. Avevo raggiunto il mio traguardo.
Con tutta la classe dovetti partecipare alla manifestazione comunale nel salone dell'Arengo, davanti a Sindaco, Consiglio comunale e pubblico. Le ragazze, quando ci fecero entrare in un salone prima di accedere all'Arengo, scoprirono che per accoglierci con spirito patriottico, erano stati preparati vari cabaret traboccanti di cioccolatini. Per dimostrare la loro soddisfazione politica, velocemente se li misero tutti nelle grandi tasche dei loro grembiuli neri.
Si preparò il corteo per andare davanti al pubblico. Tra i maschi il più alto ero io: il maestro Di Iorio mi chiamò per reggere la bandiera tricolore durante tutto il concerto.
La Patria era colei che faceva obbedire. Quelli della generazione precedente li aveva fatti anche combattere e lasciarci le penne. Questo non mi piaceva, e mi faceva stare lontano da chi voleva un potere forte che già in passato aveva guastato tutto.
Vedere "Amarcord" nel 1973, significava leggere il nostro presente uscito dalle tragedie volute dal fascismo, come una tranquilla situazione priva di ogni pericolo; e poter rileggere quel passato in chiave comica come le sfilate o certi riti politici presenti nel film.

Adesso rivedere quel film è qualcosa di diverso. Ci chiediamo più cose, non ci chiamiamo fuori come spettatori venuti da lontano, ci sentiamo coinvolti più direttamente, anche se nessuno in casa o in famiglia ha fatto mai nulla di male. Ci chiediamo quale peso può avere avuto il senso della sopravvivenza in tutta la famiglia, con quella camicia nera di mio padre divenuta poi grembiule del sottoscritto in prima elementare, per non spendere soldi che non c'erano.
I ricordi di quella camicia furono oscurati da altri fatti. Avevo pochi mesi quando all'inizio del 1943 il fratello di mia madre, Guido Nozzoli, fu arrestato a Bologna per attività sovversiva mediante distribuzione di volantini intitolati "Non credere, non obbedire, non combattere", e possesso di libri proibiti dal regime tra cui il "Tallone di ferro" di London o "La madre" di Gor'kij, peraltro venduti anche sulle bancarelle. Mia madre ricordava la perquisizione fatta dalla polizia in casa nostra, nel palazzo Lettimi di via Tempio Malatestiano.
Guido Nozzoli racconterà di essere stato "venduto" da un conoscente laureato in legge, "che si dichiarava fervente antifascista ed era, invece, uno dei tanti informatori dell'O.V.R.A., l'insidiosissima polizia segreta "inventata" dal prefetto Arturo Bocchini. Io non ho mai denunciato il provocatore che poté concludere tranquillamente la sua carriera. Dopo la liberazione, tra i documenti recuperati all'Ufficio Politico della Questura dai partigiani forlivesi, c'era anche la ricevuta del compenso intascato dal nostro delatore; la duplice spiata gli aveva fruttato 300 lire. A peso, eravamo stati valutati a un prezzo di molto inferiore a quello della carne da brodo".
Antonio Montanari

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