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I Mille di Cossiga

Post n°336 pubblicato il 14 Novembre 2007 da monari

Aldomoro In un'intervista ad Aldo Cazzullo, pubblicata stamani nel «Corriere della Sera», il presidente Francesco Cossiga torna sull'uccisione di Aldo Moro.
Ad un mese esatto dalla presentazione (sullo stesso quotidiano) di un libro che Giovanni Moro, figlio dello statista assassinato dalle Brigate Rosse, ha scritto per Einaudi, intitolandolo «Anni Settanta». (Ne ho parlato qui il 14 ottobre.)
Due punti soprattutto sono importanti nel libro di Giovanni Moro.
Il primo, riguarda la presunta minaccia da parte di una delle vedove di via Fani, di darsi fuoco in caso di trattative per la liberazione di Moro.
Giovanni Moro scrive che la notizia è falsa. Ed accusa di aver mentito «spudoratamente» il presidente del Consiglio del tempo, Giulio Andreotti (pagine 105-106).
Il secondo punto, tocca il Vaticano che, postosi «sulla stessa lunghezza d'onda» del governo italiano, «mostrò come minimo di non comprendere i termini della questione» ( pagina 107).

Cossiga replica a Giovanni Moro, senza nominarlo, sul primo punto: «Andreotti non dice bugie».
Il discorso poi ha un'impennata che passa dal pubblico al privato dei protagonisti: il cerotto sulla testa di Aldo Moro nascondeva non una ferita subìta da parte dei terroristi, ma un colpo preso la sera prima «frapponendosi in un litigio» in famiglia.

Si resta sconcertati ed amareggiati nel veder ridurre a questi discorsi pettegoli, ed insignificanti sul piano storico, un tema che anche a tanti anni di distanza resta il più drammatico passaggio della storia italiana recente.

Un anno fa, il 26 novembre, all'annuncio (poi senza effetto) di Cossiga delle sue dimissioni da senatore, gli avevo augurato di tenerci «allegri, tanto di cose serie nessuno sembra oggi aver voglia».
Purtroppo il senatore Cossiga oggi ci rattrista con le rivelazioni che sono annunciate sin dal titolo dell'intervista: «Il caso Moro e i comunisti. In mille sapevano dov'era».

Forse per Cossiga voleva essere una chiamata in causa per correità dei capi dell'allora Pci. Ma finisce per essere la confessione d'impotenza per non dire altro, di chi doveva sapere per compito istituzionale, ammesso che risponda al vero la tesi (o l'ipotesi) di Cossiga.

Soltanto una cosa appare strana nel suo annuncio: come mai, se mille comunisti sapevano, nessuno delle migliaia di agenti dei cosiddetti «servizi» che hanno sempre controllato i politici di governo e di opposizione, ha appreso che «quelli» sapevano?

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