Messaggi del 09/11/2007

Storie italiane

Post n°332 pubblicato il 09 Novembre 2007 da monari

Vescovi «Quest'uomo lo hanno ucciso...». Un cardinale emiliano, Ersilio Tonini, dice ieri sera nella trasmissione televisiva di Michele Santoro queste parole, riferendosi all'«editto bulgaro» che nell'aprile del 2002 colpì Enzo Biagi: «Lo hanno ucciso. È stato un ostracismo. Enzo Biagi dava fastidio, non era utile ed è stato cacciato».
Di un altro uomo di Chiesa, leggiamo su «Repubblica» di stamani. Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Locri da 13 anni, è stato nominato a Campobasso. Dice il titolo: «Trasferito per salvargli la vita».


L'«evitato speciale»

Biagi03g Carissima signora Bice Biagi.
Lei, all'ultimo saluto pubblico a Suo padre ha detto: «Certo che c’è stato (l'editto bulgaro). C’è qualcuno che ogni tanto ha delle botte di amnesia. Lui invece non ha mai perso la memoria, né lui né noi».

È vero, ci sono in giro botte di amnesia terribili. È un drammatico gioco dei bussolotti. Il cavalier Berlusconi, allora disse: «Credo sia un preciso dovere della nuova dirigenza (della Rai) non permettere che questo avvenga».
Il «questo» che non doveva succedere più, era l'uso «criminoso» della tv di Stato, di cui era accusato Suo padre.

Adesso il cavalier Berlusconi nega. Secondo lui non aveva mai detto che Biagi, Luttazzi e Santoro «non dovevano fare televisione». Aveva espresso un auspicio. Ha trovato immediatamente un'obbedienza cieca ed assoluta.
L'editto c'è stato, eccome. Nella formula subdola che oggi permette al suo autore di negarlo.

Mi scusi se in aggiunta parlo di fatterelli personali. A me è successo qualcosa di simile a partire dal 2001, per merito di certe dame seguaci del verbo proveniente da Arcore. Il 14 novembre di quell'anno tenni in un'associazione cattolica una conferenza intitolata: "«La guerra non cambia niente». Dolori nella Storia e desiderio della Verità nel '900 letterario italiano".

Avevo preso la citazione del titolo da quell'«Esame di coscienza di un letterato» di Renato Serra, che mi sarebbe servito per esprimere il mio debol parere sulle circostanze di quei giorni, legate alle vicende dell'11 settembre, ed alla minaccia di una guerra globale.
Con la cautela necessaria non per opportunismo ma per realismo, mi schierai contro le guerre di esportazione della democrazia.
Apriti cielo... Da quella volta non fui più invitato da quell'associazione culturale cattolica.

Poi sono successe altre cose, legate ad esempio ad un altro tabu della destra cattolica riminese che ha tanto potere curiale: quello della falsa sommossa antigiacobina e filopapale dei marinari riminesi nel 1799. Pochissime righe apparse sul settimanale diocesano, e riprese da una storia ottocentesca, ebbero la piccata risposta di un'intera pagina sul settimanale stesso con tutta una serie di notizie non rispondenti al vero.
Poi ha dato fastidio qualche mio studio storico sulla condanna all'indice di un medico riminese del 1700 per speciale intercessione del vescovo della città.

Lentamente da quel novembre 2001 mi si è stretta attorno una cerchia di isolamento sanitario da «evitato speciale» per cui nel giornale a cui collaboravo, prima mi è stata tolta la sezione culturale, poi non mi hanno commissionato più le recensioni dei testi storici. Per cui ho preferito abbandonare dopo quasi 25 anni di lavoro, per non avere altre beghe.

Nessuno ha firmato editti, nessuna "sa" niente di quanto accaduto. Però le cose sono avvenute.
È vero, ci sono in giro botte di amnesia terribili. Quando parlavo di queste vicende mie con le persone che sanno, alla fine ero considerato come un visionario.
Il fatto drammatico è che il sire di Arcore ha fatto scuola anche su chi non ne condivide le idee. Oppure è soltanto l'ipocrisia umana che cresce in ogni terreno.

[Il post apparso nel blog della Stampa, ha ricevuto alcuni commenti, ai quali ho aggiunto questo testo: «Le storie individuali contano nulla. Se prese isolatamente. Poi quando vedi che su di esse si proiettano ombre che avvolgono anche altre persone, coinvolgo altre vicende singole, allora scopri il panorama di una situazione collettiva, sociale, o storica che dir si voglia.
Quando succedono in tempi calmi, questi fatti sono facilmente accettabili ed archiviabili.
Nel 1989 pubblicai il mio primo lavoro dedicato alla storia della mia città tra il 1939 ed il 1945: mi chiesi pubblicamente alla presentazione (ricordo che era il giorno in cui Gorbacev veniva in Italia, a fine novembre): se mi fossi trovato in quel contesto della guerra civile, da che parte sarei stato?

Spesso aggiungo una domanda ironica: che fine avrei fatto?

Molto probabilmente sarei finito male, perché i Giuda di ieri non negavano le evidenze come fanno oggi, ma usavano le armi.
Ricordo un intervento di Furio Colombo qui a Rimini in un convegno sulla shoà: «Per tutti arriva il momento delle scelte».
Aggiungo: non c'è bisogno delle grandi tragedie, per dover scegliere da che parte stare.

Il tran tran quotidiano, il male di vivere dell'ordinario, impongono anch'essi l'obbligo di essere sinceri con il prossimo, perché con se stessi si può sempre trovare modo per sottrarsi alla chiarezza. Per barare. Questo nell'ambiente di lavoro, nella famiglia, nei rapporti formali ed informali con il prossimo tuo. Sognare un mondo senza ipocrisie è un'utopia? Ma spesso l'utopia è la più sana forma di realismo per rendere accettabile l'inaccettabile.

Grazie alle amiche che sono intervenute. Per Irene: è molto bello avere idee diverse, non portare il cervello all'ammasso, non livellarsi nella nebbia dell'indistinto. Tutto ciò che conta è sapere che la differenza delle opinioni fa libere le società...»]

 
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Titta Benzi depone la toga ad 87 anni

Post n°331 pubblicato il 09 Novembre 2007 da monari

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L'avvocato Luigi "Titta" Benzi depone la toga, ad 87 anni. La notizia riguarda un po' tutta quella Rimini che conosce il valore simbolico della sua figura di amico e confidente di Federico Fellini.
Una figura storica, legata al tempo in cui a Rimini di "Federico il grande" non interessava nulla. Il tempo delle sue visite notturne alla madre ed alla sorella. E di qualche raro incontro con gli amici che magari lo sfottevano. Amici, diciamo conoscenti. Perché dei veri amici sinceri ed amati come oggi non usa più, forse l'unico esemplare cittadino è stato appunto l'avvocato, il Titta che diventa personaggio di "Amarcord", simbolo di una giovinezza e di una città.
Nato nel 1920, laureatosi nel 1942, ha cominciato a fare il legale nel 1946.
Le sue memorie felliniane sono nel volume edito da Guaraldi ed intitolato «Patachédi».

Mai allontanatosi da Rimini, se non per i viaggi professionali, Benzi è un custode
mai invadente delle memorie felliniane, delle quali spesso ha fornito
quelle «interpretazioni autentiche» che l'amicizia con Federico poteva
permettergli. Alle sue sorridenti rievocazioni hanno sempre attinto
televisioni e giornali non soltanto locali.



Nel 2002 ha ricevuto il «Sigismondo d'oro» dal Comune di Rimini. In quell'occasione pubblicai il testo che riproduco qui sotto. 

Luigi Benzi è detto «Titta», soprannome che non a caso Fellini ha attribuito al protagonista di «Amarcord», quasi ad indicare un alter ego intrigante per i biografi del regista. Rappresenta, ha detto il sindaco nell'annunciare il premio «Sigismondo», la tradizione e l'identità riminese. Ne è stato, prima che custode, un interprete «sminchionato» al pari di molti altri della sua generazione.

Rimase famoso l'episodio accaduto alle Idi di Marzo del 1939, quando il ritmo militare della sfilata fu inframmezzato da piccoli passi di danza sul motivo della «Danza delle ore» di Ponchielli, proprio sotto il palco delle autorità e davanti alla statua di Giulio Cesare, dono del duce alla città. Benzi, Guido Nozzoli ed altri riuscirono a sottrarsi all'ira di un campione italiano dei medioleggeri che era sul palco, Benito Totti. Il quale però riuscì a colpire l'ultimo della fila dei 'ballerini', Ennio Macina, figlio di un ex sindacalista che negli anni Venti aveva conosciuto il «santo manganel».

Benzi ricorda che fu suo padre ad imporgli di fare l'avvocato: «Lui era capomastro e veniva da una famiglia di muratori. Il suo legale un giorno gli presentò una nota di 134 lire, cifra considerevole per quell'epoca. Mio padre prima quasi svenne, poi contrattò fino a cento lire. L'avvocato prese le cento lire, le arrotolò, le bruciò con un fiammifero e ci si accese un sigaro dicendo: visto cosa ci faccio con le tue cento lire?».

Tullio Kezich, il biografo 'ufficiale' di Fellini, elogiò le memorie riminesi del «leggendario» Benzi, pubblicate con un titolo («Patachédi») inevitabile sino ad un'ovvietà capace di trasformarsi in lezione di vita per i non indigeni. Sino a costituire un sistema di lettura della nostra realtà, tra nostalgia e travisamento totale che agli altri piace, mentre a noi magari stufa, perché si fa soltanto spettacolo e divagazione inventando qualcosa che alla fine, per parafrasare lo slogan celebre d'un detersivo, appare «più vero del vero».

Lo spirito riminese, come dimostrano alcuni film felliniani, è questo innalzarsi sopra un piedistallo, un banchetto, una sedia, e principiare a raccontarsi. Che cosa si dica non importa. Basta parlare, e farsi ascoltare, consapevoli soltanto che, alla fine, si tratta soltanto di «patachédi» e che un applauso convinto non manca mai.


Assieme a Luigi Benzi, nel 2002 fu premiato con il Sigismondo d'oro il professor Lodovico Balducci, medico negli Usa e figlio di Carlo Alberto, che fu noto insegnante e preside nelle scuole superiori riminesi.

 
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