Messaggi del 24/12/2007

Letterina di Natale

Post n°360 pubblicato il 24 Dicembre 2007 da monari

NataleDa fanciulli, ci costringevano a scrivere (sotto dettatura) la lettera a Gesù Bambino, che immancabilmente si concludeva con la promessa di obbedire ai genitori.

La nostra generazione, nata durante la guerra, è stata costretta a credere ed obbedire. Per fortuna non a combattere. L'altra sera da Fazio, lo scrittore Enrico Vaime ha detto una battuta che mi è cara. Non abbiamo fatto la Resistenza, non abbiamo fatto il Sessantotto, insomma non abbiamo fatto niente.

Dicevamo signorsì al signor Maestro, nelle elementari, stando sull'attenti. Dovevamo scrivere sotto dettatura a Gesù Bambino quella promessa di obbedire ai genitori come se avessimo compiuto chissà quale azione rivoluzionaria. Forse ci siamo soltanto permessi qualche volta di essere bambini come natura comanda.

Mia madre mi mandava in giro con un ciondolo d'un santo o d'un beato che riproduceva uno slogan di pietà e d'educazione: «La morte ma non i peccati». Non sapevamo nulla dei peccati, ma ce lo spiegavano anziani e pii sacerdoti negli interrogatori al confessionale.
Ci aprivano le finestre sul mondo, mostrandocelo come se fosse un vero e proprio inferno di cose immonde e nefande.

Le minacce delle fiamme dell'inferno teologico che avrebbe ripagato per l'eternità i nostri eventuali errori di un minuto, fecero il loro effetto su di me sul piano gastro-enterico.
Una mattina dovetti andarmene a casa fingendo indifferenza, ma affrettando il passo perché la paura dell'inferno aveva agito come la dolce euchessina prima di uscire dalla parrocchia alla ricerca affannosa del lontano riparo domestico, rigorosamente a piedi, e noncurante del fatto che avevo già cominciato a pagare quello che con linguaggio popolare si diceva un tempo il «debito naturale». Insomma me la ero fatta addosso dalla paura instillatami dai pii confessori.

Adesso che sono vecchio, voglio scrivere una letterina di Natale, ma non posso scomodare Gesù Bambino, mi risponderebbe che ormai certe cose le so, e che quindi, è inutile rifare la solfa di quando si era fanciulli promettendo obbedienza.

Se dovessi scegliermi un intermediario con Gesù Bambino, chiederei aiuto ad Enzo Biagi che adesso viaggia lassù, e chissà come si diverte a fare interviste.

Caro Enzo, per favore non dire oggi o domani a Gesù Bambino che prima o poi, gliela faranno pagare. Succederà quando tra qualche mese tutta la gente sarà felice come adesso, con una sola differenza. In questi giorni essa mangia il panettone per rispettare le tradizioni, più avanti gusterà le uova di cioccolato.
Comunque, è già tutto previsto. Ci sarà un tale Giuda che poi farà discutere per millenni. Se deve recitare quella parte, dicono, non è che poi sia tanto malvagio. Un attore, cioè uno che segue il copione voluto dal Capo. Sia fatta la volontà di Dio, dovrà dire Gesù. Che poi avrà anche il momento più bello, quando umanamente sospira al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Piffero


Caro Biagi (adesso che non sei più tra noi fisicamente, permettimi la confidenza del tu rivolto ad un maestro di stile e quindi anche di vita), questo Gesù che spupazzano tra un presepio allestito per attirare turisti ed un supermercato che svende tutto in occasione delle festività, forse è più crocifisso a Natale che a Pasqua, da noi uomini di Buona Volontà, a cui è destinata la sua pace.
Cose strane, incomprensibili, misteriose. A lui in un certo senso è andata bene, di Giuda ne ha incontrato soltanto uno.

Come vedi, il mio testo non sarebbe adatto ad una letterina per Gesù Bambino.
Basta il pensiero, dicevano una volta. Ma oltre al pensiero ci vuole anche qualcosa che rallegri la  nostra vita. Se a rattristarla sono proprio quelli che in nome suo parlano ma poi tradiscono come Giuda, ti viene un dubbio: oltre che ipocriti e falsi, chi si credono di essere?


L'immagine qui sopra è presa dal sito www.filastrocche.it.




 
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Caro Carlino (e tutto il resto)

Post n°359 pubblicato il 24 Dicembre 2007 da monari

Mi hanno detto che il «Carlino» ha festeggiato i 50 anni della sua pagina riminese. Auguri.

Sono affezionato alla redazione del 1960-62, quando da studentello vi feci un apprendistato fondamentale sotto la guida del capo-pagina prof. Amedeo Montemaggi, un giornalista di vaglia e soprattutto un maestro di cronaca dalla rara efficacia e intelligenza delle cose.



L'idea di riempire le giornate con un diversivo allo studio universitario, mi venne appena conclusa la sessione d'esami dell'abilitazione magistrale (la nostra non era allora chiamata maturità).

Dissi a mio padre se mi poteva presentare a Montemaggi che lo conosceva bene.

Una mattina di fine luglio andammo mio padre ed io in piazza Cavour, ed incontrammo Montemaggi proprio sulla porta del palazzo dove ha tuttora la sede il «Carlino» riminese.

Montenaggi Dopo i convenevoli di rito, Montemaggi (foto) mi disse una cosa che ho sempre conservato in memoria come prima regola del lavoro di cronista: «Bisogna imparare a lavorare di corsa. Ieri sera ho fatto in tre quarti d'ora un pezzo di due cartelle e mezzo per l'edizione nazionale».



In quella regola c'è tutto quanto è utile ai cronisti (e anche ai blogger) in certi momenti. Ovvero concentrarsi sull'argomento, saper tirare fuori tutto quello che serve, scrivere, rileggere e spedire...

Allora non c'erano né telescriventi né computer, si andava col «fuori sacco» in stazione o al massimo per le cose urgentissime si ricorreva telefono. Che andava però usato con parsimonia per non essere sgridati dall'amministratore bolognese, celebre, temuto e tiratissimo.



Il vice di Montemaggi (che cominciava allora le sue ricerche sulla Linea gotica) era Gianni Bezzi, studente in legge, bravo, intelligente e soprattutto amico, nell'impostarmi sul lavoro di ricerca della notizia e nella stesura dei breve testi di cronaca. Bezzi ha poi lavorato a Roma al «Corriere dello Sport».

Corrispondente da Riccione era Duilio Cavalli, maestro elementare, e conoscitore dei segreti dello sport, materia affidata per il calcio al celebre Marino Ferri. Mentre «Isi», Isidoro Lanari, curava le recensione cinematografiche.

E poi c'erano i padri nobili del giornalismo riminese che frequentavano la nostra redazione. O che collaboravano allo stesso «Carlino». Giulio Cesare Mengozzi, antico amico della mia famiglia, sostituiva Montemaggi durante le sue ferie. Luigi Pasquini, una celebrità che non si fece mai monumento di se stesso, ed ebbe sempre parole di incoraggiamento con noi giovani. Ai quali Flavio Lombardini offrì di collaborare alle sue iniziative editoriali.

C'era poi la simpatica e discreta presenza di Davide Minghini, il fotoreporter, l'unico che aveva un'auto con cui andare sul luogo di fatti e fattacci. Arrivò ad un certo punto Marian Urbani, il cui marito gestiva l'agenzia di pubblicità del «Carlino». Si mise a fare la simpatica imitazione di Elsa Maxvell, la cronista delle dive americane. Dove c'era mondanità c'era Marian che le ragazze in carne corteggiavano per avere appoggi in qualche concorso di bellezza....



C'era poi un collega giovane come me, che era figlio di un poliziotto, e che andava in commissariato a rubare le foto degli arrestati dalle scrivanie dei colleghi di suo padre. E noi le dovevamo restituire...

C'era una bellissima ragazza, Nicoletta, che da allora non ho più rivisto a Rimini. Ricordo una simpatica serata che Gianni ed io trascorremmo con lei ed una sua amica inglese al concorso ippico di Marina centro. Cercavamo di insegnare alla giovane d'Oltremanica tutte le espressioni più strane del parlare corrente italiano, al limite di quello che il perbenismo di allora poteva considerare turpiloquio. Ma la frase più ardita era semplicemente: «Ma va a magnà er sapone».



Leggo sul Carlino-on line le parole di Piero Meldini per i 50 anni dell'edizione riminese: «Chiunque sapesse tenere in mano una penna (tenerla bene) è passato dal Carlino».

Posso di dire di aver fatto con Montemaggi, Bezzi e Cavalli una gavetta che mi è servita sempre. Forse appartengo ad una generazione che è consapevole dei debiti verso i maestri che ha avuto. Forse ho la fortuna di essere consapevole dei miei molti limiti per poter riconoscere l'aiuto ricevuto nel miglioramento dalle persone con cui sono venuto a contatto allora e poi. Fatto sta che quei due anni nel «Carlino» per me sono stati fondamentali.

Studio e passione per argomenti diversi hanno la radice in quella curiosità che mi insegnarono essere la prima dote di un cronista.






Gianni Bezzi scomparve giovedì 17 febbraio 2000, a 60 anni.


 

Lo ricordai sul web con queste righe.



Aveva debuttato al "Carlino" riminese, come vice-capopagina. Ma uno scherzetto fattogli mentre doveva essere assunto a Bologna nella redazione centrale, lo ha buttato sulla strada.

Ha diretto poi a Rimini il periodico "Il Corso". Nel 1969 è stato assunto a Roma al "Corriere dello Sport", dove è rimasto fino alla pensione. Ha scritto anche un volume su Renzo Pasolini ed ha curato, lo scorso anno, un libro sullo sport riminese nel XX secolo.

Persona buona ed onesta, professionista serio, amico di una lontana giovinezza nel mio debutto giornalistico, lo ricordo e ne piango la scomparsa con animo rattristato. E queste parole possano farlo conoscere anche fuori della Rimini astiosa dove venne tradito e ferito dal disonesto comportamento di chi volle ostacolargli una carriera meritata per la correttezza umana e professionale.




Sul settimanale Il Ponte pubblicai questo articolo.




Ciao, Gianni



Quando qualcuno si metterà a scrivere con completezza ed onestamente una storia del giornalismo riminese di questi ultimi cinquant’anni, dovrà dedicare un capitolo a Gianni Bezzi, appena scomparso a Roma, dove aveva lavorato per tre decenni al "Corriere dello Sport" come cronista ed inviato speciale.



Lo ricordo con infinito dolore. Ho perso un amico onesto, buono, corretto.

Ci eravamo conosciuti nel 1960 alla redazione riminese del "Carlino", dove guidava con serenità e buon gusto il lavoro di un gruppo di giovani, molti dei quali poi hanno cambiato strada, chi ora è architetto, chi docente universitario.



C’era uno di noi, figlio di un questurino, che a volte voleva fare degli scoop e prelevava in Commissariato le foto degli arrestati, poi arrivava una telefonata e noi le dovevamo restituire.



Gianni amava lo sport che aveva in Marino Ferri la penna-principe del "Carlino". Fece il corrispondente locale del "Corriere dello Sport". Aveva un linguaggio asciutto, il senso della notizia, era insomma bravo.



Un bel giorno, mentre frequentava già di sera la redazione bolognese del "Carlino", dopo aver lavorato al mattino in quella di Rimini, e mentre gli si prospettava un trasferimento sotto le due torri, successe questo, come si ascoltò a Palazzo di Giustizia: risultò che lui in ufficio c’era andato così, per sport.



Diresse poi un nuovo giornale "Il Corso", che usciva ogni dieci giorni. Mi chiamò, affidandomi una pagina letteraria (che battezzai "Libri uomini idee", rubando il titolo ad una rubrica del "Politecnico" di Vittorini), ed anche una rubrica di costume ("Controcorrente") che firmavo come Luca Ramin.



Fu un sodalizio di lavoro intenso ed appassionato. Mi nominò persino redattore-capo, e credo che sia stato l’unico errore della sua vita.



Per Marian Urbani inventai una sezione definita "Bel mondo", nel tamburino redazionale. La cosa fece andare su tutte le furie il giornale del Pci che ci dava dei "fascisti" ogni settimana, avvantaggiandosi su di noi che, come ho detto, andavamo in edicola solo tre volte al mese. E non sempre.



Nel gennaio del ‘67 il nevone ci fece saltare un numero. Due anni dopo, Gianni fu assunto a Roma.



Queste mie misere parole possano, in questa città di smemorati, ricordare un giornalista che proprio a Rimini ha dedicato la sua ultima fatica, un libro sullo sport del ’900. Ciao, Gianni.





L'anno scorso è scomparso Silvano Cardellini, anche lui celebre firma del «Carlino». Oggi lo celebrano, ma non fu sempre trattato bene da quel giornale. Allora osservai in ricordo del caro amico:
«Ti hanno costretto a fare il cronista sino ad ieri, non so per colpa di chi, forse per il fatto che «normali non siamo» o non sono pure quelli di fuori (leggi: Bologna). Se avessi diretto un giornale cittadino, avresti avuto il gusto di alimentare le polemiche, che sono il sale del pettegolezzo, anche se esse stanno ben lontane dall’informazione della quale a Rimini non frega nulla a nessuno».


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