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V. G. scrive a Lucia Annunziata: "Poiché i borghesi dell'Arenella e del Vomero tornavano malinconici a casa, dopo la messa, con i ramoscelli d'olivo infilati nella busta della spesa come se fossero andati al supermercato. Ma, mi consolavo, quest'ultima non è la Pasqua vera che poco prima m'aveva offerto il suo volto triste ma anche gioioso: né la Napoli autentica". Ma la spesa la fanno solo i borghesi? E perchè proprio all'uscita dalla (o peggio, all'entrata nella) chiesa? Questi borghesi! Tristi di umore e di morale (tristi, cioè cattivi). I popolani, invece, buoni ed ilari (come sono quelli con la coscienza a posto). Li accomuna, popolani e borghesi, la "munnezza" che, in questa era del consumismo, entrambi (i secondi di più) producono.
E.A., "neolaureata stagista", evoca Totò, il principe (anche della risata) De Curtis, ma lo cita ("signori si nasce e io onestamente vi nacqui") male: "vi" si riferisce a luogo (Napoli nella specie), mentre il grande Totò disse "ed io lo nacqui" ("lo" per signore: italiano popolaresco). Quanto ai "nuovi ricchi", Elisa scrive: "Troppo spesso si viene considerati per ciò che si guadagna". E' vero, purtroppo: la società attuale riproduce quella del basso impero romano (che finì come sappiamo): da un lato "panem et circenses" e dall'altro "assem habeas assem valeas": tanto possiedi tanto vali. L'avere "vale" più dell'essere, ahimé.
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