imagomentis

scorcio di te in bilico di premura e di furia


    Una volta mollata l’anima, tutto segue con assoluta certezza anche nel pieno del caos.”Henry Miller    Ho imparato a graffiare sui muri ornati di trascuratezza e persino a piroettare negli angoli dei margini svettati di caverna e di pausa.  (il tuo scrivere urgente fa a brandelli le chiose di verità e di simbiosi  e mischia magnetismi,  immagini e gemiti flautati) Nell’interno spannato dai grumi aciduli della ritrosia indecisa, scomposta da questo susseguirsi improvviso di sensazioni chiuse in frammenti di fotogrammi sfocati, ho visto, seminate da mani indocili, immagini nebulose di in un eden smodato, raggiante di scandalo e disgiunzione.  (hai un modo audace di frantumare il verso e sono tante le parole che frughi e tante quelle che ti cercano)  Sono ora in bilico incompiuto, al limite della sopravvivenza che barcolla in un sogno screziato di viso spalancato nel suo stupore inatteso, e sono pronto a ghermire, di soppiatto nella mezza luce di un crepuscolo in un mare d’inverno, le tue impronte sovrapposte a triangolo e cerchio,  come tracce da cercare nel fogliame rumoreggiante di sottobosco e acquitrino, sotto la luce incerta della luna.  (al punto licenzioso, quasi sulla linea increspata della penombra mossa da un’incognita attigua) Nelle polle imperfette  raccolgo i noccioli schizzati del nostro muoverci le parole, impercettibili sulle distanze staccate tra i punti teneri di un innamoramento indispettito, scompigliati senza alcun significato aggiuntivo dal tempo che si ammassa nei segmenti del ricordo e dell’amnesia.  (con i frammenti che avanzano allestisci altre frasi, altri vagiti che sono richiami spezzati su filo spinato di voce infedele) Nel mio pensarti gruzzolo di tepore e recinto conficcato di purezza, osservo fenditure dipinte in affresco dalle tue mani ondose di leggerezza e premura e ti cerco con infinita dolcezza, musa colorata di rosso agitato e di giallo rossiccio, impiastricciato nel tuo profilo egiziano dagli occhi verdi.   (pensiamo e siamo vivi,  alla maniera antica  di spagnoli e di turchi, con il coltello infilato nella mente oscena e farisea dell’oasi) Corteggio una rabbia felina non aggressiva che familiare si attenua in sentieri generosi di giungla in fiore e muschio fresco di corteccia, in un’alcova accennata da un minuscolo gesto pungente all’urtarsi inatteso di sfida viva e di tregua incorrotta, che si mostra e si occulta, come aria scaraventata dal turbine di una natura duplice e inquieta.  (il tuo sguardo di bosco e di conchiglia, diviso nell’alcova sospesa da segni di grafia e preludi di sensi, include spruzzi di eros colorati e brulichii di compattezze disgiunte, quasi come celate nel segreto di una bolla umida, soffiata nel cristallo infrangibile del sogno) Sfioro un fuoco cristallino che si riflette uniforme di puro accadimento, sotto questa volta celeste difesa da un drappo di seta azzurra, e l’occhio si appuntisce in una pantomima zigzagata e commossa da un fascio di luce intermittente e cade su vegetali pitturati e fiori che affiorano al di là dello sguardo. (strane forme dell’essere in letteratura smezzata e sciupata tra vicoli equivoci per un unguento di lame affilate e di profumi indecisi di cupidigia e ghiaccio di visioni improvvise)Contemplo nel bisogno accennato un delirio che preme e disgiunge i colori ed i suoni, che iniziano nell’ abbandono della terra fertile  di orrore,  ai margini accesi di un inferno abbellito dalla ricchezza resa sacro dall’ipocrisia e dal silenzio.   (e sterminandolo vive al limite delle figurazioni  e delle effigi di caverna e cielo, per scagliare su un foglio frasi che schiumano onde di promiscuità primitiva  senza redimere incosciente quella coscienza estrema che cede tenebre tumefatte)Sulla pelle degli uomini  è bolgia efferata di ostilità ancestrali, questo cielo che stride tra le montagne e il mare e continua ad ergersi di acqua e di sale,  in un moto incessante d’azzurro e grigio, addossato ad un selciato di pece  e puntellato di luci coagulate in questo buio tagliente che si dirama su piccole gocce di franchigia antica.  (quasi lambendoci i corpi nella fusione illogica d’amore o morte spianata perché poco ci importa quel rintracciare gocciato da sublimi creature esiliate) Lontano dalle cose sordide della polis e della cavea, appoggio  con cautela la fronte sulla battigia schiumosa e osservo i segni di un anagramma  inatteso sulla sabbia.  (supini con  le mani intimidite dall’occhio scagliato in una pausa ondosa) Il mio gesto rende meno acuto questo disseminare irrequieto  tra i discorsi i gesti, che in tempi assurdi furono ciottoli e ghiaia di scogliera e adesso si fluidificano in un vortice povero di passione rarefatta e lacero di tenerezza indistinta. (al di là dell’emergere seminuda dall'acqua, nel tuo corpo ancillare, eccelso nel misticismo, ancorato e dissolto) I tuoi passi concreti e levigati  risuonano in un visibile scandaloso, germogliato nell’assetarsi e nutrirci, erotici e mistici, in un luogo pensato senza custodia, per scomparire in una metamorfosi e disimparare l’allegoria  incorporea, spalancata sul recesso sinuoso della reminiscenza.   (proprio come noi offesi,  nell'isola di costa e di sabbia,  presi dal panico senza scelta dell’essere ancora viventi,  inquieti nella nostra crosta  irta di paradossi e di sale) Le mie frasi versano copiosi liquidi fulvi di oblio  nella memoria per accompagnare indecisi il ripensamento e finalmente scampare al disastro dell’egoismo feroce di questa storia sorda negata all’intelligenza e all’amore.  (in quel turbine erotico che mostri impudente e sfidi compiuta nella dolcezza e nella collera senza incanto,  c’è un sussistere in gabbia  che non trucca il cerchio dimezzato del tempo manicheo e feroce) E infine, con i pensieri dischiusi in un ammasso di anfore fragili svuotate dall’essere in un fruscio dilatato sulle soglie esitanti dell’assoluto, mi inoltro da popolano nel territorio dissimulato dai bagliori uncinati del mostrarsi prosciolti dal debito illogico dell’esistere.  (quel che ci importa invece è la metafora del narrarci, il simbolo e l’allegoria del riprodurci identici, accostati alle immagini tracotanti e superbe di ironia e di disfatta)