imagomentis

segreto custodire, in canto e danza


    scrivere con i sensi: esordioSottile e smossa, goccia di zampillo e piacere sommesso,dolce soffio di ventosul viso inumidito, una scaglia leggera mi trascina lievissima, col suo raggio esitante,tra gli apici sporgenti nella quiete attutita. Ora è tacere,in questo vuoto di ombreche nella voce ampliano due suoni impercettibili,e nel silenzio trovol’arte del sottintendere e del serbare artigiano, come la roccia al turbine, il salgemma sepolto delle frasi e lo zolfo dell’anima infuocata, da quelle buone cose rese amare e smentitecome ingenue carezze che ritornano rinnovati torporiprivi di desiderio e lasciano la bocca silenziosa per scelta e pronta altrove a dire.La consapevolezza, tra le brume che portanoun afrore d’inferno puro e annichilito,guarda dritta negli occhi l’esistenza e i ricordi, raschiati da uno stiloe riscritti con curanell’esile pergamena di un manoscritto increspato e friabile, si dissolvono come chiose perse nel nulla.primo canto e danzaChiuso in un serraglio di solitudine, maschera claudicante, intuivo ecumeniche chiosee nel frattempo percepivo il mondofluidificarsi oscenonelle frasi che a stentoin finzioni realiafferravano ingordele opache disarmonie delle cose inumane.secondo canto e danzaIl tempo aveva smarrito efficacela sua dimensione rassicurante da molti e molti anni inchiodata. Si era naturalmente sfaccettato in piccoli graduali frammenti che racchiudevano in sé l’enigma del suo trascorrere deragliato, come intarsi di un mosaico dell’anima incastrato a caso sul pavimento del nulla che esiste, tracciato come un graffito visibile sul soffitto dell’esistenza in situazioni vissute al limite della lucidità, segnato come un acquaforte dipinto a manosul muro inclinato della ragione mai pienamente fedele e fuggitivaalla condizione umana che si dispiega. E con esso, nelle categorie indefinite della consapevolezza, anche lo spazio era in frantumi fragili , resistenti, mescolati a caso da una coscienza ribelle e vagabonda. Tempo e spazio, nel vortice blasfemo del pensare emigrante, solo a tratti mostravano la loro gabbia dalle guglie appuntite e sembravano essere inutili involucri di un incatenarmi a me stesso per mantenere incerto un legame ontologico tra le cose e gli uomini che mi passavano accanto e restavano inerti, svuotati dalla memoria implacabile, spingendosi come uno spiffero tiepido improvvisodalla spaccatura della meditazione indisciplinata.terzo canto e danzaImmagino un sole bruciato a metàSulla cima di un monte antico e vergineE un lenzuolo dalle mille pieghe inclinateE gesti trafitti dai rumori emendatiChe tracciano geroglifici inconsistentiSu due corpi distanti e quasi sfioratiE sommano un desiderio di cartaAd un lampo obliquo su un bicchiereFinalmente vicino come quelle labbraDisarticolate in forma di cose e di frasiChe non dicono non chiedono eppureHanno un silenzio di burrasca e un ditoChe gira attorno al capezzolo turgidoUmido di parole che cambia coloreCome quegli occhi attenti che giranoTra le frasi e scappano al primo squilloDi guerra e si nascondono in alibiDa vagabonda con la sacca sdrucitaE quelle labbra di carne chiusa in unteSpille di stelle nella notte e nel giornoTagli di scure e filo di machete scheggiatoE sorsi abbondanti di liquori forti e osceniE bruciori in ogni millimetro della pelle Dall’odore di giungla o di burrasca lontanaMa il mio cuore non appartiene a nessunoSe dicono di soli e di cieli azzurri annuvolatiÈ pietra lavica che si infuoca al lapilloIn un gesto di erba e si indurisce neroSotto il passo impudico che inciampaTra le parole accennate che non dirò maiNella loro complessa compiutezza incautaDi rimandi e simboli rarefatti dal ventoPerché nella notte con le sue inquietudiniFragili nella loro insistenza di marmo e saleIo sto bene e non temo rappresaglie obliqueDi me stesso contro me stesso disabitatoquarto canto e danzaIl raggio della luna- terzo occhio d’argento,girotondo di nuvole, festa di sole all’alba -appoggiato sul marenella penombra, simileal tuo sentiero semplicedi pensieri e di coseche percorri posandoumile sulla terrail tuo passo discretoe la tua mente voraceassetata di cielospargi nell’infinito,quando di notte accarezzi il viso sbalordito di un demone divinoe passi leggermente la mano sulla frontedel meridiano animo nella tua conoscenzaostinata e flessibiledi guerriera diurna senza armi cruenteche non si arrendee sa ricominciaretestona e dolcissimacon la sua libertàe la sua solitudineche non rapina o mente, umana e non più solanella lotta col mondoe con gli uomini spenti.epilogo: eterea nel rievocare sei il mio piccolo sole innocente di obliquitàche sperde piano la furiacommossa sotto le ciglia e l’iride azzurra inzucchera con la sua luce leggeratra le nuvole sparse al confine precipitosofra cielo e terra e mareche vedo in un’immagine solo un poco dischiusa quando viene a scovarmi dall’aria inumidita la sera turchina che mutain punta nuda di piedi la rabbia antica in stuporee mi sorprende poggiatosui miei pensieri ondulatiche chino graffiati su pietredeposte inquiete sull’orlodi un calle odorosoinciso dalle parole per te