imagomentis

l’oro nella cintura di rimbaud e la lana nell’arcolaio di gandhi


  l’oro:cadono si assottigliano le parole puttane e si smorzano languide come dopo un amplesso poi in un sortilegio accidentale si ammassano e tornano da distanze carnose distratte in apparenza ma in sostanza astute qui senza di te tutto è in subbuglio nel disordine armato balla il cancan un culo di perle levigate in un disastro adescato dalle mie frasi probabilmente è un baratto prima le donavo in cambio di niente ora le svendo tutte queste parole già scritte ad un centesimo l’una per ricompensa chiedo un lembo della tua pelle da punzecchiare e poi scarabocchiare con un rametto d’ulivo e una foglia di palma inzuppati in tinture fatte di pioggia e bruma e vino rosso e conchiglie vermiglie e bianche sminuzzate da pietre e terra densa e frutti succosi e carbone di quercia ed erbe odorose e petali di fiori e grano giallo come segni rupestri sul tuo corpo velato e se non è il tuo guscio a farsi tela e papiro sarà la buccia vuota di un’altra donna nel reale è possibile questo mercato osceno dove parole vuote sono fiumane di sensi asciutti nella mia illusione spesso di notte ebbro per trafugare le frasi di un’intuizione poetica abbacinata dal giorno troppo loquace e nitido nel suo clamore falso indosso panni curiali e la canaglia si oscura come un dettaglio tra i fatti inservibili del quotidiano osceno che mi ha trastullato con canzoni e balli sboccati di imboscata blasfema e che la poesia nel suo vagolare irrequieto ha trasformato in danze e canti di guerra e di preghiera ed è convinto questo insieme indistinto di corpi agitati pieni di desideri che si mischiano a pelle viva e nuda di avermi affascinato e corrotto nel gorgo dell’inganno dei sensi tanto il mondo non cambia è postribolo e frode eppure la poesia è un miraggio dai colori mischiati che lo esorcizza tra muri spesso però ciechi impostori la tingono arruffandola e false giunchiglie sorde con apparecchi acustici ben intonati al silenzio barbugliano rumori che spacciano per suoni almeno nel mio immaginario che sboccia dal reale e nel reale insiste voglio colori e suoni di fiaba sussurrata voglio colori e suoni di bolgia disillusa da sublimare o da vivere resterà un segreto tra me e te cesellato questo mio raccontare di visione e materia e sarà sogno ancora per incantarsi ogni volta sorpreso nel suo disincanto  la lana:che posso dirti mio piccolo sole? scrivi sempre coi sensi non lasciarti imbrogliare dalla ragione la poesia o c’è o non c’è è come la bellezza evidente allo sguardo se manca è solo chiacchiera e gioco di barattoli vuoti suggestione ordinaria che prima o poi svanisce senza lasciare tracce di corpi celesti evanescenti o tizzoni d’inferno frammentati ed è un imbroglio linguistico che riconosco al tocco e che si sbriciola come una foglia marcia di un albero sterile ed è putrefazione di scrittura spruzzata con profumi ed aromi per ingannare gli inetti o soddisfare gli ipocriti ed è persino un lessico stonato riverniciato per sciocchi privi di specchi polvere fastidiosa di una filologia falsa priva di quella verità che non esce dal vago cenno del dire e stupisce soltanto chi si illude di essere franchigia astuta nel tratto di un’apparire dolciastro ammantato di vuoto cupo e malato senza nemmeno il privilegio di esistere nell’assurdo perché l'ombra del nulla che ci lambisce è un accenno dell’anima gettata a caso nei rimasugli del linguaggio corroso ed è fatica nei sentieri interrotti della poesia è un disastro lentissimo sotto una luce fioca in usufrutto spietato nello sguardo insensibile di demoni e di dei che si sottraggono annoiati e feroci se le parole non hanno il suono magico e folle del dio pan o di orfeo fonemi privi di voce nella scrittura si fanno melodie innaturali che lo sguardo ruffiano ridipinge note nello spartito dei nostri passaggi spogli di spazio e tempo ed è un accadere senza nomi né cose il mio immaginario che nel reale si appiglia a mani nude come un naufrago esausto al faraglione che affiora dai cinque sensi il sesto senso imperfetto del mio sfiorarti è in quella falce di luna sul mare che ti assomiglia e pende granulosa come appesa ad un filo di resina tra le mie iridi azzurre oppure nella carezza intimidita della mia mano ad un cucciolo fulvo di volpe trovato per caso nella boscaglia e quel suo mordicchiare selvaggio a scatti inquieti con quel musetto grazioso era simbolo e segno del mistero dell’occhio e del linguaggio senza significato e dell’istinto senza accezione proprio della natura che si cela mostrandosi ebbrezza scortecciata il residuo è cultura maledetta cultura da sprofondare in un mastello di concretezza nelle corrispondenze incompiute di un lessico inclinato tra il corpo e l’anima ti accolgo lieve nel terzo occhio e ti trattengo libera nell’infinito umano in triangoli e cerchi indefiniti