non fu difficile arrivare al bar del vino, piccolo e legnoso come una cantina d’altri tempi e conficcato in una strada alberata di una via principale dal nome mitologico,al centro storico della città il mio amico mi aspettava vicino ad un chioschetto, ad un paio di chilometri dal bar, e lì, in una tarda serata con la brezza fredda appiccicata alle gote, ci scolammo un miscuglio di limone spremuto, seltz, sciroppo di agrumi e un pizzico di bicarbonato, chiamato digestivo dall’inventore ottantenne che cinquanta anni prima l’aveva ideato e che gestiva ancora il suo chiosco da tempo immemorabile, in mezzo alla piazza che in quel momento era quasi vuota erano le dieci di sera ed era un’ora cortese per passeggiare in una città sicilianala donna del bar del vino era una minuta trentacinquenne, bruna dalla carnagione pulita, coi seni piccoli ed il corpo nervoso e accogliente, e un culo da collezione che ti guardava dritto negli occhi, quando parlava con te qualche settimana prima avevo accettato la proposta del mio amico di partecipare come ascoltatore di una lettura di poesie, all’interno del bar o sui tavoli esterni poggiati su un marciapiede isola pedonale, poeti e poetesse a recitare le loro frasi, a leggere i loro versi c’ero andato anche io ma non avevo letto niente di mio, avevo solo bevuto e ascoltato una volta sola, verso la fine della figurazione, ero sbottato esclamando: “queste sono minchiate cu lu bottu a bumma” era stato davvero troppo sentire da una giovane voce in foggia di penna fragile e accasciata su una forma improbabile di scrittura che si rifletteva nei suoi gesti consunti “tre quarti della poesia sono nati dal dolore “ e aveva appena letto una poesia che recitava più o meno questi versi che trascrivo a memoria: “tu sei il mio amore che mi spezza il cuoree quando non sei vicino a me il mio conforto al dolore è scrivere questi versi per te” era con tutto ciò una bella femmina e mi guardò incazzata aveva una bocca come due spesse ciliegie appena schiacciate dalle dita e non continuai il discorso, forse afferrato dalla percossa dello sguardo, come un pescespada infiocinato da un esperto uomo di mare la femmina del bar del vino però si abbassò dietro il banco e iniziò a ridere sbirciandomi attraverso il vetro colorato di un bicchiere ripresi a bere un eccellente nero d’avola che appesantiva i miei gomiti appoggiati all’angolo del bancone mentre guardavo l’incavo di un seno appiccicato alla maglietta leggera e lo vedevo alla mia destra mischiato fra tante bottiglie,mentre alla mia sinistra stavano a galla il mio amico ironico, le poetesse e i poeti,chi ascoltava giocondo seduto al tavolo con una faccia borbottata di noia e di compiacenza qualcuno mi guardò male, la tizia del dolore e della poesia mi commutò in una camurria ignorante, io continuai a bere con la mia strafottenza versata nel bicchiere di rosso, sbirciando complice la femmina divertita dietro il banco ed ogni tanto il suo culo,e tutto finì lì e almeno per quella sera la poesia addolorata smise di scassarmi la minchia e rimase in silenzio