imagomentis

tutto è disteso sulle frasi eppure


  minchia però questa casa anche stanotte è un bordello passano i giorni rattoppati e non cambia o meglio cambiano i pezzi delle cose che lascio in giro in forma di parole tra la gente distratta che va e viene e si sgola per dire e si affatica per fare mentre prima dovrebbe inabissare l’occhio nel bicchiere e poi palparsi l’anima a vicenda con le mani sulla pelle in rilievo tanto non cambia niente dopo troppo reale in croste di memoria e cambia tutto nell’immaginario dove alture tra cime nevose e fredde diventano passerelle bianche su fiumi caldi e dove parole e cose di te che appari nuda e ti accartocci e gemi sono pause poggiate tra tuoi seni ed in file asimmetriche sono formiche rosse ubriache tra le tue cosce caramellose occazzocazzocazzo prestami la tua cipria oggi non ho voglia di separare gli specchi e non ho nemmeno voglia di uscire ma ho finito le sigarette e il vino e qualcuno deve andare fuori a comprarli perciò mi serve un po’ del tuo makeup da spalmare sul viso a dita chiuse come un selvaggio in guerra due strisce orizzontali sulla fronte e tre distese a piombo sulla guancia al mio rientro per caso tornerò a pensarti sparsa nel mio bicchiere e dentro il fumo come una folata acre di vento tiepido e liquido che si attorciglia agli occhi in mulinello spaiato certo tra  noi succederà  qualcosa perché è scritto persino su questo soffitto basso se chiudo gli occhi lo leggo anche sui muri che tu sarai probabilmente in chiosa oasi di pioggia e luna sgocciolata nel tuo cerchio ed io forse sarò in triangolo e delta scudo e sentiero di questo divenire lento nel raggrumarsi stanotte aspetterò l’alba del quotidiano per insultarla sorpreso nell’assurdo e nel mio sguardo arrossato d’azzurro senza appoggio in una lacerazione di preghiera e di guerra e rito dissennato come quel pane mistico spezzato nel vuoto bianco del cielo ed imbevuto nel vino strizzato a sangue in una vaga memoria del sacrificio di un palestinese biondo con gli occhi azzurri che resta sempre un’effige erotica come le madonne del quattrocento (hai mai guardato il viso della donna che porge quel bimbo ai saggi nella presentazione al tempio del giambellino cognato del padovano andrea mantegna? è puro eros appiccicato al muro eros e tanathos del suo fatto sacro) e leggerò i tuoi fogli per poggiarli sparsi sul fianco sgombro del mio letto disfatto prima del sonno ed al di là dell’assenza ed alla fine avrai la tua leggerezza brumosa di un sussurro di foglie di castagni nel bosco in quel tramonto impastato di terra e di pioggia e in un estroso spumeggiare di onde in un mare d’inverno sotto la prima luce avrai la tua consistenza di battigia schiumosa la verità è che non me ne fotte una minchia e le parole sono solo un pretesto perché la realtà non è parola e il tuo gesto non è che un suono di sillabe su carta stanotte c’è uno strano sciabordio di sensi e noi della ciurmaglia del buon buk di notte sbronzi con una tastiera coi sensi all’erta siamo pericolosi sfidiamo l’ira del buon dio dei credenti e tocchiamo persino il culo al diavolo forse dovrei trovarmi una compagna perché da troppo tempo insisto nel rifiutare sinestesie di donnette che sono facili facili ma una donna è quasi un tatuaggio indelebile proprio sul terzo occhio che si schiude su quel delta di venere istoriato da uno schizzo tracciato sopra un segno ma perché penso alla tua bocca indolente che si raggomitola in un risucchio di ombra? perché mi lascio andare alle visioni di un estetismo instabile nell’alcool? per quale scopo allora la maledetta inquietudine ritorna in un contesto astratto e si fa immagine di concretezza? la mia realtà è linguistica insopportabile se ci pensi benee nel reale quella parte di me che si disloca tra cose e persone non ha l’essenza inutile del dire ma la sostanza cieca dell’apparire e infine so che il mio essere inquieto dopo tanto reale rimasticato crudo è nei frammenti dell’immaginario di un disastro che annuncia un sentimento fatto di parole nel mio caos esistenziale quotidiano e ossessivo non reggeresti per una settimana perciò lasciamo che tra di noi ci sia solo un fatto di lessico