imagomentis

scorcio di te in bilico di premura


 Una volta mollata l’anima, tutto segue con assoluta certezza anche nel pieno del caos.”Henry Miller   ho imparato a graffiare sui muri ornati di trascuratezza e persinoa piroettare negli angoli dei margini svettati di caverna e di pausanell’interno spannato dai grumi aciduli della ritrosia indecisascomposta da questo susseguirsi improvviso di sensazioni chiusein frammenti di fotogrammi sfocati e seminati da mani indociliin un eden smodato raggiante di scandalo e disgiunzioneal limite della sopravvivenza che barcolla in un sogno screziatodi viso spalancato e di soppiatto pronto a ghermire nella mezza lucele tue impronte sovrapposte a triangolo e cerchio come fogliamerumoreggiante di sottobosco e acquitrino nelle polle imperfettee i noccioli schizzati impercettibilmente sulle distanze staccatetra i punti teneri scompigliati senza alcun significato aggiuntivodel tempo che si ammassa nei segmenti del ricordo e dell’amnesiadipinti in affresco dalle tue mani ondose di leggerezza e premuranel mio pensarti gruzzolo di tepore e recinto conficcato di purezzacon infinita dolcezza di musa colorata di rosso agitato e di giallo rossiccio impiastricciato nel tuo profilo egiziano dagli occhi verdi e una rabbia felina non aggressiva che familiare si attenua in sentieri generosi di giungla in fiore e muschio in un’alcovaaccennata da un minuscolo gesto pungente all’urtarsi inattesodi sfida viva e di tregua incorrotta che si mostra e si occulta come aria scaraventata dal turbine di una natura duplice e fuoco cristallino che si riflette uniforme di puro accadimentosotto questa volta celeste difesa da un drappo di seta azzurrache si appuntisce in una pantomima zigzagata e commossada un fascio di luce intermittente sui vegetali che affioranoe guardo nel bisogno accennato un delirio che preme e disgiungei colori e i suoni che iniziano nell’ abbandono della terra fertile di orrore ai margini accesi di un inferno abbellito dalla ricchezzaresa sacro dall’ipocrisia e dal silenzio sulla pelle degli uomini ed è bolgia efferata di ostilità ancestrali questo cielo che stride tra le montagne e il mare e continua ad ergersi di acqua e di salein un moto incessante d’azzurro addossato su un selciato di pece puntellato di luci coagulate in questo buio tagliente che si dirama su piccole gocce di franchigia antica tra le cose sordide della poliscon cautela e con la fronte sulla battigia osservo l’anagramma inatteso che rende meno acuto questo disseminare tra i discorsi i gesti che in tempi assurdi furono ciottoli e ghiaia di scogliera e adesso si fluidificano in un vortice povero di passione e laceroi tuoi passi concreti e levigati in un visibile scandaloso germogliato nell’assetarsi erotici e mistici in un luogo pensato senza custodia per scomparire in una metamorfosi e disimparare l’allegoria incorporea spalancata sul recesso sinuoso della reminiscenza e liquidi di oblio accompagnarsi indecisi nel ripensamento e finalmente scampare insieme al disastro dell’egoismo feroce di questa epoca sorda negata all’ intelligenza e all’amoree infine inoltrarsi umili nel territorio dissimulato dai baglioridel mostrarsi prosciolti dal debito illogico dell’esistere schiusi in un ammasso di anfore fragili svuotate dall’essere in un fruscio dilatato sulle soglie esitanti dell’assoluto 3 febbraio 2003