Sveglia prima delle serrande abbassate (31 Agosto) Inizia Capidanni e penso a come il binario perda la memoria. Quante parole, ritmi, poesia, sentimento e pezzi di coronarie noi tutti perdiamo. Noi lontani dalla lotta cittadina, noi che presto ci ripiomberemo addosso al caos nascosto di questi tempi morti, tristi, senza grandi progetti, senza neppure antichi e retorici sogni. Inizia Capidanni e la retorica del nulla del postmoderno è come le zanzare dell'osteria, sempre presente, sempre pungente, però non inganna la saggezza, ancora non l'ha fatta impazzire, ancora la odio. Inizia ciò che già è iniziato e io scrivo sopra al piano che minaccia in continuazione sciopero senza essere proletario, ma anzi essendo nemico di operai e contadini, essendo figlio di chi comanda, minaccia la mia richiesta d'amore, il mio tentativo di allungarmi verso gli arcobaleni delle compagne sconosciute. Io scrivo con i mezzi e il linguaggio e la noia dei ricchi, ma nella metà del sangue c'è il vinto. E come vedo la finzione, come vedo il calcolo ipocrita allo stesso modo vedo il sincero, l'autentico attendere. I corpi piatti sono i miei prediletti perché rinnegano nella loro appariscente superficie liscia l'inganno che la realtà sia banale. Sui corpi piatti io corro, mi fermo, ricordo, compongo, sono io, io che li dimentico, non li posseggo da tempo, ma li desidero con nuova pretesa. Chi è che decide quando le menti ragionano in maniera giusta e quando invece lo fanno in maniera che non quadri tutto? Chi lo sa capire dov'è l'inghippo? Da L'estate della servitù dottorale Vittoria Nicoli