La mia discarica

ISLAM E SPORT


Lo scorso week-end, durante le pulizie settimanali di una casa sempre più sommersa da polvere e immondizia di ogni genere, facendo zapping alla ricerca di un programma dignitoso che mi sostenesse in un momento tanto difficile sono capitato sulla telecronaca della partita dei campionati del mondo di pallavolo femminile Italia – Egitto. La cosa che mi è saltata subito all’occhio è stato l’abbigliamento di alcune ragazze della squadra nazionale egiziana: capelli ben nascosti da un copricapo di tessuto bianco, gambe e braccia così coperte che più coperte non si può, maglie e pantaloni larghissime per non lasciar vedere alcuna forma… La cosa mi ha lasciato un po’ allibito. Lo sport è un qualcosa che va ben oltre l’esibizione del corpo, è la grazia e il dinamismo racchiusi in un gesto tecnico, è agonismo, è espressione della propria fisicità al di là di ogni bigotta prescrizione religiosa, è grinta, è quanto di più spontaneo e naturale ci possa essere. Quelle ragazze sembravano così goffe e impacciate in quegli abiti così ingombranti... Rimango sempre più perplesso di fronte a religioni che continuano a mortificare ogni espressione della femminilità; e poi, fino a che punto certe scelte sono libere e consapevoli?Mi viene in mente la storia di Hassiba Boulmerka, algerina, campionessa olimpica a Barcellona 1992 nei 1.500 metri, prima donna algerina, e due volte campionessa del mondo. Una vita controcorrente, operaia che si allenava nei ritagli di tempo per dare sfogo alla sua vera passione e al suo più grande talento, la corsa, contro tutto e contro tutti, contro gli integralisti islamici, contro una cultura che non consentiva a nessuna donna di eccellere in un’attività per soli uomini. Non appena vinse l’oro olimpico dedicò la sua vittoria alle donne algerine e al presidente algerino ucciso 40 giorni prima dagli integralisti islamici. Osò da subito affermare che quella era la vittoria di tutte le donne africane che secondo lei avrebbero dominato nell’atletica a partire dal 2000, se solo fosse stata concessa loro la possibilità di esprimersi. Ha sempre dovuto difendersi dalle ire degli integralisti islamici, che non hanno mai sopportato che corresse in pubblico con il volto e a gambe scoperte; vittima di continue minacce di morte, ha dovuto far ricorso alla protezione delle guardie del corpo. Ancora oggi, dopo il ritiro dall’attività agonistica e nonostante la nomina ad ambasciatore ONU, non ha vita facile. Rimane un simbolo della lotta civile e non violenta ad ogni forma di integralismo.