Grand Hotel delle Palme

Post n°1 pubblicato il 14 Marzo 2006 da charlie_23

Ci entrai a testa bassa, un po’ intimorito. Vinto dal freddo e dall’umidità, oltre che dal bisogno.
Sentii subito gli occhi addosso, molte paia di occhi. Occhi diffidenti e curiosi, ma nessuno osò chiedere nulla.
Mi sedetti sulla panca di legno, fingendo un’indifferenza che non provavo, e accesi una sigaretta. Non sapevo neppure io cosa fare lì.
La domanda arrivò, secca come una fucilata: “Hai mangiato?”
Un paio di quegli occhi prima indagatori e diffidenti, avevano capito
chi ero: solo un altro della stessa tribù.
Una tribù numerosa che dopo aver imboccato qualche crocevia
sbagliato, si ritrova lì, in una sala d’aspetto di una stazione cercando di
passare indenni la notte e affrontare il giorno dopo col freddo nelle ossa e
pochi spiccioli in tasca.
Qui al Gran Hotel delle Palme, non si fanno troppe cerimonie,
non ci sono tessere da esibire. Basta lo sguardo per capire chi fa parte del
Club.
“Si, grazie. Non ti preoccupare.” Fu la mia risposta.
Quella faccia scolpita dal vento e dalla natura mi rispose con un mezzo sorriso.
"Ci sono ancora dei panini, senza complimenti." e aprì una busta per la spesa, offrendomi il contenuto.
"Beh, allora grazie..."
"Se c'è da mangiare, ce n'è per tutti. Quando ne avrai ne dividerai anche tu."
Iniziai a mangiare il panino che mi aveva offerto scoprendo di avere più appetito di quanto ammettessi a me stesso.
Mi sentii rinfrancato, più da quel semplice gesto che da quel povero cibo.
Ringraziai ancora e mi accesi un'altra sigaretta.
"Non hai niente?" mi chiese ancora.
"Cosa, scusa? Non capisco..."
"Non hai niente per passare la notte? Mica puoi stare lì seduto! C'è freddo e se ti ammali sei fottuto."
"No. Non ho niente. Appena potrò mi compro un sacco a pelo come il tuo..."
Rise forte e di gola.
"Novellino eh? Non si compra nulla. Vai alla parrocchia di san Siro a Santa Margherita. Chiedilo e te ne danno uno.
I soldi tienili per altre cose.".
Così dicendo, si sfilò dal suo improvvisato giaciglio, calzò le scarpe, un paio di vecchi anfibi militari, e andò a frugare in un angolo nascosto.
Ne tirò fuori un largo cartone ripiegato e una coperta militare.
"Ti faccio vedere..."
Stese il cartone in un angolo di quella sala, e vi pose sopra la coperta ripiegata in due. Un sacco a pelo improvvisato ma funzionale.
"Le scarpe mettile sotto al cartone. Ti serviranno da cuscino e non te le possono fregare.".
"Grazie, nuovamente.".
Feci come mi disse, e a parte la durezza, quella piccola tana era calda e neppure troppo scomoda.
Sorprendente dover prendere atto che la misura tra la vita e la morte, sia il semplice spessore di un cartone ripiegato.

Gli invisibili

 Mi svegliai molto presto, mi vergognavo a farmi trovare lì dai primi pendolari. E mi accorsi che anche quasi tutti gli altri ospiti del Grand Hotel delle Palme erano già andati via.
Il Grand Hotel è la stazione di Nervi, in fondo al Viale delle Palme, da cui prende il nome.
E' una stazioncina stile liberty, fine '800.
Le camere... pardon, la camera è ampia, le pareti di un verde tenue, il soffitto istoriato da stucchi e rosoni d'epoca.
Nel muro più ampio s'intravede il segno di un caminetto che scaldava l'ambiente.
L'arredamento è spartano: un paio di panche di legno, un tavolo nel centro sala, un altro mobile non meglio definito contro la parete dove s'intravedono i segni del vecchio caminetto.
Un bell'Hotel, indubbiamente. Solo i servizi lasciano un po' a desiderare.
Non ci sono cameriere e ogni ospite al mattino provvede da se a rifarsi il giaciglio: si ripiega il cartone, si arrotola la coperta e il tutto si ripone in un luogo appartato.
Così feci anche io, trés à la page, e me ne andai a lavorare.

La sera tornai al Grand Hotel, stavolta con un sacchetto di panini offerti da un pulmino della Caritas. Avevo già mangiato, ma li presi da portare ai nuovi amici.
Lì il servizio in camera non è dei più efficienti, e ci si arrangia come si può.
Questa volta tutti mi salurarono, chi con un grugnito, chi con un ciao, e chi con un buonasera.
L'inaspettato mentore della sera precedente, mi guardò col suo consueto mezzo sorriso.
"Tornato? Ti piace il panorama, a quanto pare..."
Effettivamente la ferrovia corre lungo il litorale ligure, e dal Grand Hotel delle Palme si gode un panorama per niente disprezzabile.
Solo le serate col teso vento di scirocco fanno rimpiangere di essere altrove.
"Beh... mica solo per il panorama! Diciamo che l'accoglienza è da cinque stelle..." risposi ridendo acnhe io.
Tutti si presero un po' di cibo. Non ringraziarono. Sapevano che non dovevano farlo. In quest'Hotel quello che si può si deve dividere, tranne i soldi e le scarpe, naturalmente.
Mi preparai il giciglio e mi accesi una sigaretta.
"Vuoi?" dissi porgendo il pacchetto al nuovo amico.
"Ne ho, grazie. Fumo dalle mie."
"Ho visto che siete quasi tutti mattinieri..."
Stavolta non rise, disse semplicemente: "Qui abbiamo ancora quasi tutti ancora un po' di dignità da difendere.
La gente fa finta di non vederci, e noi cerchiamo di non farci vedere. Siamo il popolo degli invisibili: meno diamo all'occhio, più stiamo tranquilli noi e loro. A loro non piace vedere a cosa riduce la mancanza di sicurezze acquisite, ciò che danno per scontato. Li mette a disagio, e qualuno reagisce con cattiveria. Meglio sparire per tempo.".
"Ora sono tempi difficili..." continuò "...una volta ti sceglievi un paese, un quartiere e se ti facevi benvolere, tutti ti aiutavano e ti davano una mano.
Non è più così. Stiamo diventando un esercito che s'ingrossa di giorno in giorno, e quelli più disperati, gli ubriaconi, i tossici, e i delinquenti sono i più visibili, e ormai l'equazione ci compara tutti. Bollati ed etichettati.".

Rifettei per un po' su questo, poi salutai, spensi la sigaretta e mi addormentai.

Economia "spicciola"

Ero ormai un abitué di questo esclusivo Grand Hotel.

Una sera trovai il mio amico senza nome, dacchè i nomi sono cose troppo personali per essere divulgati in questo Club, piuttosto teso e preoccupato. Fumava nervosamente la sua sigaretta e sembrava perso in un pensiero sgradevole e persistente.

"Cos'hai?" gli chiesi dopo i rituali saluti.

"Sono troppo leggero!" mi rispose.

"Leggero? Hai freddo?"

"Macchè freddo! Sono leggero: ho poche monete! Oggi non ho rimediato nulla.

Domani debbo mettermi d'impegno a raccogliere moneta." mi disse con la voce rotta dalla preoccupazione.

"Moneta?  se qualcuno ti rifila una banconota, che fai? La rifiuti?" dissi canzonandolo un po', per allentare la sua tensione e strappargli una risata.

"Non essere ridicolo, per piacere!" per nulla propenso a seguirmi nel gioco.

"Se qualcuno mi da, volesse il cielo, una banconota, corro a cambiare in moneta!".

Non ci arrivavo propio, nonostante la mia buona volontà. 

"MI spieghi, perchè moneta?"

"E' una questione psicologica: le monete hanno peso, e volume. Le senti nelle tasche, tintinnano e ti fanno compagnia. Dal peso sai quanto puoi "essere", e ti regoli di conseguenza.

"Se tutti dessero più valore alle monete, questo schifo di paese andrebbe un po' meglio.Non ci sono più monetine da 1 e 2 centesimi. Sai che vuole dire questo? Svalutazione! Tutto costa più caro. E tra un po' spariranno anche quelle da 5 e da 10. E via via le altre. Fino a che ci troveremo come in Germania prima della guerra, dove per comprare un chilo di pane dovevi pagare una mazzetta di banconote!

"E' pericoloso, e la gente non se ne rende conto. Il denaro ha sempre meno valore, e gli uomini con esso.".

Rilfettei anche su questa piccola lezione di economia "spicciola" del mio mentore, e rabbrividii. Sentivo che in qualche modo aveva ragione.

Al mattino mi svegliai molto presto, misi via la mia roba, e prima di uscire presi dal mio borselino un po' di monete e le lasciai cadere dentro il suo sacco a pelo.Sperai che la sua giornata fosse più pesante, così.

 
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