In Altre Parole

Oltre le righe


Le capitava di giocare passeggiando per strada, saltare gli incroci di cemento sul marciapiede, o le linee bianche sopra il selciato:-“Ancora tre e poi, se ci riesco, esprimo un desiderio”-. Era come se la strada allora fosse diventata il cielo di stelle cadenti nella notte del santo Lorenzo.  Il vederla saltellare ogni tanto, attenta a non incespicare attirava l’attenzione dei passanti che la guardavano di certo stupiti, che a quella età, alla sua età. non si potevano saltare le strisce in modo disinvolto. Ma a quegli sguardi lei regalava un sorriso.-“ Del resto – pensava – a quale età debbono cessare i desideri?”-Non ricordava un libro, una parola od una frase che ne facesse cenno.Solo lo sguardo delle persone, silenziosamente, pareva ricordarle che lei doveva ancora essere domata.Saltò una riga ancora. Pensò al suo nome di prima. Elen a si chiamava. Ora era soltanto Una non l’immagine di tutte.E non voleva un nome allora, che ad essere Una, un nome non occorre.-“Il nome serve per distaccare, per dividere, per differenziare. Quando si è sola un nome non ha importanza”- Un oggetto solo in una stanza, quando la stanza è vuota, non ha bisogno di un nome. Uno qualsiasi potrebbe calzare. Al limite nulla. Tanto altro non ci sarebbe da nominare.Essere senza nome allora era come essere infinito. Nessun limite/contatto sulla tua destra. Nessuno sulla tua sinistra. Un punto che straborda senza una retta che segnali l’orizzonte.Il nome, quando c’era, in definitiva, era il vero limite,perché chiamandoti puoi esser solo quella cosa. Senza un nome puoi essere qualsiasi cosa.Un’altra riga di fronte incisa nel cemento a lastre di quel marciapiede fatto senza il minimo gusto per la Qualità. Quadrati di cemento si susseguivano uniti da nette vie di fuga. Che lei saltava.Si soffermò su quel paradosso.Procedeva sulla sua “strada dei desideri” saltando le sue vie di fuga.Da cosa voluto fuggire? Non da quella strada che una strada o un'altra, quando si passeggia senza una meta, rappresenta un percorso fatto per il gusto di fare. Quello che i viaggiatori chiamano “il viaggio” prima di arrivare. Solo che il viaggio poi ha la sua meta, mentre quello, per lei,era solo “viaggiare”. Cogliere dal momento che passa, a volte un attimo, e stupirsi. Compiere un passo, fermarsi e subito dopo saper ricominciare. Avanti col prossimo. Stendere la gamba e poi caricare.Da cosa sarebbe voluta fuggire?Le parve una contraddizione. Saltava le sue vie di fuga per giungere, al terzo salto, ad esprimere poi un desiderio. Che poi era anche possibile che quello stesso mai si sarebbe avverato. La via di fuga era lì.Dopo tre passi. Sempre uguale. Una retta tangente il suo percorso che potevi seguire con l’occhio fino al limitare della strada ma poi, volendo sognare,perdersi in un percorso invisibile sino al punto di infinito.-“Ancora un salto, e sono tre….”- Si fermò. Anche l’aria nei suoi polmoni s’arresto un istante. Il sangue gelò dentro le vene. Guardò la retta che stava per saltare. Un pensiero le trapassò la mente :-”E se questa fosse…la mia ….ultima via di fuga?”-. sentì una folata di tramontana sorgerle dalla spina dorsale.Davanti a lei un marciapiede che finiva poco oltre ad un semaforo, dove un incrocio sempre affollato pareva volerla inghiottire.Tangente da quel punto una retta che sembrava condurre fino ad infinito, oltre l’orizzonte noto, verso quel punto dove ogni mattino, fiorisce ad est un nuovo giorno.Guardò la strada, il traffico, la gente. Pensò al suo nome di allora. A quale nome avrebbe avuto allora se fosse stata in un altro punto lontano. Pensò alla fila dei desideri volati in cielo saltando innumerevoli vie di fuga nel suo passato.Quanti di loro erano poi stati esauditi dal destino?“Il destino siamo noi, con le nostre gambe”- si ricordò d’aver sentito dire.Davanti a lei era traffico, gente. Tangente a lei una retta che parlava di un punto infinito lontano.Poggiò piano la punta del suo piede su quell’incavo di cemento. Lo fece come l’equilibrista al primo passo, quando col piede saggia la corda tesa su cui camminerà senza rete, davanti ad un circo di persone plaudenti. Chiuse gli occhi. Il primo piede era messo per intero sopra quel nuovo percorso.Lo guardò stupita. Anche l’altro, il sinistro, lo seguì con la stessa attenzione. Ferma, immobile sopra quella retta immaginaria. Come l’uccello migratore prima del lungo volo cerca il cenno ultimo del tempo per partire, lei così attese.Forse fu un colpo di claxon, o una frenata, l’assordante passare di una moto con lo scarico elaborato. Per lei fu il segnale. L’emisfero sinistro del suo cervello mandò l’impulso. Il piede destro avanzò, ed il sinistro lo seguì dappresso. Poi fu un succedersi di passi sopra quella retta improvvisa che aveva tagliato la sua strada in due. La sua vita in due. Poco dopo chi la guardò iniziare quel suo viaggio la vide sparire in lontananza, una sagoma fattasi folla. Ormai i suoi piedi sapevano dove andare, dov'era la sua meta. Avrebbe visto tramontare quel giorno nello stesso punto in cui sarebbe sorto il sole di domani.