Creato da k.way il 13/11/2009

VAGHEIDEE

quell'andatura incerta che chiamano esperienza

 

« ViaggIOVentonotte »

Omaggio a K

Post n°154 pubblicato il 28 Luglio 2011 da k.way
 

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Fuori è ancora notte. Faccio fatica a respirare. Un dolore intenso mi blocca il respiro.

Questo dolore mi parte dal petto, si dirama nelle costole, nella schiena, nelle spalle, nelle braccia, nella gola, nella nuca, nelle mascelle.

Sedersi lentamente sul letto. Aspettare. Alzarsi. Andare fino alla scrivania, fino al telefono. Risedersi sulla seggiola. Chiamare l'ambulanza. No! Niente ambulanza.

Aspettare.

Aspettare le otto e telefonare non all'ambulanza, ma a un taxi e al mio solito medico.

Lui mi riceve d'urgenza. Mi ausculta, mi fa una radiografia ai polmoni, mi esamina il cuore, mi misura la pressione.

Si rivesta.

So che se ne frega completamente, sia della mia salute che della mia malattia.

Scrive nella mia cartella, mi guarda:

Lei fa di tutto per distruggersi. Sono fatti suoi.

Domando: Che cos'ho?

Un'angina pectoris, probabilmente. Era prevedibile. Ma io non sono uno specialista del cuore.

Mi porge un foglio:
La raccomando a un cardiologo di fama. Vada con questo al suo ospedale per un esame approfondito. Prima è, meglio è. Intanto, se sente dolore, prenda queste medicine.

Mi dà una ricetta. Domando: Mi opereranno?

Dice: Se è ancora in tempo.

Se no?

Le può venire un infarto in qualunque momento.

Vado alla farmacia più vicina, mi danno due scatole di medicine.

I dolori scompaiono rapidamente, mi addormento.

Cammino per le strade della città della mia infanzia.

Mi volto e all'altro capo della strada vedo un puma.

Ad un tratto, tutto brucia. S'infiammano le case, i fienili e io devo continuare a camminare in questa strada in fiamme ...

Da qualche parte questa strada deve pur finire, tutte le strade finiscono, sboccano in una piazza, in un'altra strada, sui campi, in aperta campagna, a meno che non si tratti di un vicolo cieco, e stavolta deve essere proprio così, un vicolo cieco, sì.

Mi sveglio in lacrime. La mia camera è nella penombra, ho dormito per gran parte della giornata. Mi cambio la camicia madida di sudore, mi lavo la faccia.

Guardandomi nello specchio mi chiedo qual è l'ultima volta che ho pianto. Non me lo ricordo.

Accendo una sigaretta, mi siedo davanti alla finestra, guardo la notte scendere sulla città. Sotto la finestra, un giardino vuoto, con un solo albero già spoglio. Più lontano, delle case, delle finestre che si accendono sempre più numerose. Dietro le finestre, delle vite. Delle vite calme, delle vite normali, tranquille. Coppie, bambini, famiglie.

Sento anche il rumore lontano delle automobili. Mi domando perché la gente si muova, anche di notte.

Dove va? Perché?

 

[già, dove si va di notte, pur stando fermi?  Io, quale senso ho preso? Se un senso c'è ...]

 

 * * * 

 -

Quello che scrivo non ha nessuna importanza.

Insiste: Quello che mi interessa sapere è se scrive delle cose vere o delle cose inventate.

Le rispondo che cerco di scrivere delle storie vere, ma, a un certo punto, la storia diventa insopportabile proprio per la sua verità e allora sono costretto a cambiarla.

Le dico che cerco di raccontare la mia storia, ma che non ci riesco, non ne ho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbellisco tutto e descrivo le cose non come sono accadute, ma come avrei voluto che accadessero.

Dice: Sì. Certe vite sono più tristi del più triste dei libri.

Dico: Proprio così. Un libro, per triste che sia, non può essere triste come una vita.

Dopo una pausa, domanda: E' per un incidente che zoppica?

No, una malattia quand'ero piccolo.

Aggiunge: Non si nota quasi.

Rido.

 

[Non si nota, quasi, nemmeno il Claudicare del cuore. Pure le crepe, non fanno rumore]

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Agota Kristof (30 .10. 1935 - 27.07.2011).
Addio ...

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