INFINITO

IL NOME DELLA ROSA


Il nome della rosa è un romanzo complesso, difficilmente definibile entro una particolare categoria. Interpretarlo come romanzo storico o in chiave postmoderna offre diversi spunti interessanti, ma non esaurisce certo il variegato panorama delle possibili interpretazioni. “Un romanzo è una macchina per generare significati” avverte lo stesso Eco. È difficile parlare del romanzo senza entrare nel merito dei suoi aspetti filosofici, teologici e semiologici, vorrei comunque, anche se in maniera necessariamente parziale, offrire una chiave di lettura de Il nome della rosa. Emerge innanzitutto la percezione che l’epoca narrata sia immagine della contemporaneità, si vede chiaramente la rappresentazione di turbamenti dell’animo che appartengono senza dubbio al nostro oggi, anche l’insegnamento che si trae dalla parole di Guglielmo alla fine della vicenda, mentre contempla il divampare delle fiamme nello scriptorium, parla a una sensibilità moderna. “Jorge temeva il secondo libro di Aristotele perché forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità”. Il riso insomma, “fomite di dubbio,” è visto come un’energia liberatoria  capace di cancellare il timore della morte, di liberare gli uomini  dal dominio della verità, ed infine di ridicolizzare e demistificare la presunzione della ragione assoluta che finisce preda e vittima di se stessa. Ne emerge un mondo senza certezze, in cui l’uomo si trova a fronteggiare la propria solitudine, con tutti i lanternoni spenti, come direbbe Pirandello, ma qui saremmo ancora nella modernità. È a questo punto che subentra la prospettiva nuova, quella del postmoderno in cui l’uomo ha fatto pace con il passato, ha accettato il caos che lo alienava ed ha creato una nuova visione del mondo. Vorrei poi mettere a fuoco un punto nel panorama del postmoderno letterario che vale la pena comprendere a fondo. Caratteristica fondamentale ne Il nome della rosa è l’intertestualità, la raffinata sovrapposizione di temi e possibilità di lettura che sanno coinvolgere un pubblico estremamente vasto, Eco ha saputo “costruire” non un solo tipo di lettore ma svariati, a seconda delle proprie capacità e dei propri interessi, ogni lettore può avventurarsi in un romanzo il cui obbiettivo, ci dice lo stesso autore, è di essere divertente, e allo stesso tempo, di insegnare qualcosa. In un’epoca in cui vediamo come televisione, cinema e letteratura cerchino con grande foga di accaparrarsi il consenso del pubblico e lo ottengano abbassando drasticamente la qualità dell’offerta. Un romanzo come Il nome della rosa può essere un importante esempio del fatto che rendere la cultura fruibile da un pubblico vasto, non significa rinunciare alla qualità, perché tutti, come Adso (immagine del lettore), possano alla fine comporre la propria biblioteca minore, fatta di brani citazioni, periodi incompiuti, moncherini di libri e che si diverta poi ognuno a trovarvi un significato, un qualche senso nascosto, e se più d’uno, e molti, o nessuno.