L'ingegneressa

La prima volta che l'ho visto


La prima volta che l’ho visto è stato in mensa all’università, una mattina di primavera di tre anni fa. Era seduto con un amico due tavoli più in là rispetto a quello dove stavo pranzando con Cristian, il mio ragazzo, e altri compagni di corso. L’avevo notato perché assomigliava tantissimo ad un ragazzo che abitava nell’appartamento sotto al mio, solo che lui aveva qualcosa in più: i capelli erano lunghi, ricci e tenuti in una coda, e lo sguardo era dolcissimo. Lo guardavo senza farmi vedere, era veramente simile a Luca. Poi è andato via.L’ho rivisto dopo qualche giorno, fuori dalla mensa. Io e i miei amici eravamo soliti rimanere un po’ a chiacchierare, dopo mangiato, prima di andare a lezione. Le giornate avevano cominciato ad essere soleggiate e la temperatura era mite. Era l’aprile del 2001, e frequentavo il secondo anno della facoltà di Ingegneria Chimica a Padova. Cristian e gli altri erano iscritti ad Ingegneria Elettronica, ma, dato che il biennio comprendeva per lo più gli stessi esami, ci ritrovavamo a seguire le lezioni nello stesso dipartimento, quello di Matematica Pura ed Applicata. Dovevamo essere tutti in aula alle 14.30, ogni giorno, così, dopo aver passato la mattina in aula studio a studiare, o per lo meno a fare finta, a mezzogiorno staccavamo e andavamo a mangiare. E ogni giorno a mezzogiorno c’era anche lui.Non so dire se ci fosse sempre stato, forse non l’avevo notato prima, presa com’ero dalle mie cose e dai miei pensieri, certo è però che quel giorno, quando uscii dalla mensa, lo notai subito. Due occhi che mi guardavano, due occhi dolcissimi e allo stesso tempo tristi. Io circondata dai miei amici, abbracciata al mio ragazzo, lui tra i suoi, serio, lo sguardo posato su di me. A quel tempo non sapevo nulla di lui, come si chiamava, cosa studiava, e non mi interessava saperlo. Ciò che rendeva belli quegli incontri erano gli sguardi tra noi, tali da far scomparire le persone che ci erano vicine. Io mi sentivo desiderata da lui, la dolcezza di quegli occhi mi conquistava, in un certo senso, ma tutto questo comunque rimaneva soltanto una bella sensazione, e così doveva restare. In fin dei conti io avevo un ragazzo che amavo, ricambiata, ed ero felice così com’ero, dalla vita non chiedevo nulla in più.L’estate poi arrivò, e con lei la fine delle lezioni. Io ero tornata a casa mia, a Vicenza. Avevo lasciato a malincuore l’appartamento che avevo diviso per un anno con altre cinque ragazze, ma il contratto era scaduto, e così ognuna era tornata a casa propria con la promessa che ci saremmo tenute in contatto e, perché no, riviste.Quell’estate la ricorderò sempre come una delle più belle. Lavoravo in una scuola di lingue come insegnante di italiano per turisti stranieri, nonché come interprete. La paga era buona, e il lavoro mi piaceva. Finalmente avevo una possibilità di far fruttare il mio diploma ottenuto al liceo linguistico! Verso la fine di giugno, poi, ero stata chiamata da una piccola agenzia di viaggi perché erano rimasti all’ultimo momento senza l’interprete ufficiale dal tedesco, e così la mattina dopo ero partita in un viaggio verso Liechtenstein, Svizzera, Austria e Germania. Cristian era venuto la sera prima a salutarmi, dandomi come portafortuna un piccolo pelouche giallo e marroncino. Sarei stata via solo quattro giorni, ma per due innamorati come noi erano tanti, considerando anche il fatto che non ci saremmo potuti sentire. Nonostante questo, però, ero al settimo cielo per la grande opportunità che mi veniva data: io, a soli 20 anni, in giro per l’Europa come interprete! Mi sembrava di spaccare il mondo, e avevo i motivi per pensarlo. Durante il viaggio di ritorno, appena entrati in Italia, accesi il cellulare e trovai infiniti messaggi di Cristian, voleva sapere come stavo, se tutto andava bene ed era preoccupato per me. C’era anche un messaggio di Andrea, il mio migliore amico: voleva sapere com’erano andate le vacanze al mare con i miei. Le vacanze al mare? Ma come..?Non ci volle molto per scoprire che il mio beneamato aveva detto ai nostri amici, che gli avevano chiesto come mai quel fine settimana non fossi uscita con loro, che ero andata al mare per qualche giorno con la mia famiglia. Proprio lui, che avrebbe dovuto essere orgoglioso di me, della sua ragazza.. non potevo crederci, ma purtroppo era così: non aveva mai superato quel senso di rivalità che c’era tra noi (ma che sentiva solo lui), era sempre una corsa a chi avrebbe dato più esami, a chi avrebbe preso i voti più alti, a chi era più bravo.. e per lui il fatto che io mi stessi affermando con le lingue doveva essere qualcosa di insopportabile, evidentemente. Gli avevo parlato parecchie volte, ma non era mai servito a nulla. E io, per amor di pace, lasciavo sempre correre. Mi bastava vederlo ogni sera venirmi a trovare ed ero contenta. Lui mi voleva veramente bene, ma il suo orgoglio era motivo di attrito tra noi.