L'ingegneressa

Matteo


Arrivò con altri sei nostri compagni di corso che conoscevo poco, e durante il pranzo non avemmo modo di parlarci molto. A dirla tutta, neanche dopo: sembrava quasi che mi ignorasse, lo ascoltavo chiacchierare con gli altri e mi sentivo di troppo, quasi un peso, tanto che quando arrivarono le 14.30, ora in cui le lezioni ricominciavano, mi sentii sollevata. Le successive quattro ore, però, furono di una pesantezza indescrivibile: il professore parlò ininterrottamente di scambiatori di calore e più di una volta io rischiai di addormentarmi. Alla fine, giunsero le 18 e riconquistai la libertà. Ero rimasta d’accordo con Matteo che ci saremmo trovati nel cortile della facoltà per stare un po’ insieme, e invece lui non c’era, non c’era…mi aveva mandato un messaggio al cellulare in cui mi scriveva che era stanco, sarei dovuta andare io a casa sua. Arrivata, però, trovai l’appartamento sottosopra, lui e i suoi compagni di appartamento stavano facendo le grandi pulizie; lui si sedette in una poltrona senza il cuscino, io in un divano capovolto e parlammo un po’. Dopo cinque minuti arrivò il suo nuovo coinquilino e tutta la sua attenzione fu rivolta a lui. Io dovevo andare in stazione, non potevo stare ancora lì, così li salutai e dissi che dovevo andare. Lui accompagnò per le scale fino al portone. “Cosa c’è? Ti vedo strana” “No, è che…niente, lascia stare. Sono solo un po’ stanca per la lunga giornata. Ci vediamo domani” “Ma non puoi rimanere ancora un po’?” “No, Matteo, altrimenti perdo il treno. Speravo che saresti venuto a prendermi a lezione e invece non c’eri, sono venuta fino a casa tua e hai passato il poco tempo a parlare con il tuo coinquilino…lascia perdere, dai.” “Ma…va bene. A domani”. Ci scambiammo un bacio e partii a piedi.Per la prima volta in quella giornata, mi ritrovai sola con me stessa. E i pensieri che avevo ricacciato per tutto il pomeriggio vennero prepotentemente a galla. Che delusione era stata Matteo. Uscivamo insieme da un mese, ma lui non era mai stato veramente presente, non lo avevo mai sentito vicino a me. La sera prima gli avevo fatto un discorso in proposito, non era possibile continuare una storia in quel modo. Lui mi aveva chiesto di essere paziente e aspettare un po’, perché con l’inizio dei corsi le cose sarebbero cambiate e ci saremmo visti più spesso, però quel giorno le cose non erano andate come mi aveva promesso. Mentre facevo questi pensieri, sentivo crescere in me una sensazione di malinconia. No, proprio non si poteva continuare così, non era il tipo di storia che sognavo per me.Quella sera, seduta sul letto con la radio in sottofondo, piansi. Buttai fuori la tristezza del pomeriggio. Piangevo per la delusione, non perché soffrissi, quello no. L’entusiasmo che mi aveva spinta ad accettare i suoi inviti ad uscire si era spento quasi subito e aveva lasciato spazio all’attesa. A poco a poco mi sentii più tranquilla e rimasi seduta in silenzio. Chiudendo gli occhi, vidi Jacopo.