spes.ultima.dea

Joana Kruse - Lantern


    
     ...È dai dipinti dei maestri che sono commossi i giovani pittori,dalle poesie dei vecchi che sono colpiti, feriti a morte, i futurigrandi poeti. Infine, dopo averli presi, cerchiamo di non farceliscappare....C’è questo ragazzo tra i quindici e i vent’anni che incontrasia amici che libri. Dagli uni comincerà il suo apprendistatodi uomo – dagli altri imparerà l’esistenza al mondo di unmistero. Questa strana forza delle parole che gli raccontavanocose delle quali sarebbe stato talmente triste se gli fosserocapitate nella sua vita, o in quella delle persone che ama, eche, lette nei libri, gli procuravano una gioia immensa.Parole che gli raccontavano di cose inverosimili, improbabili,cose che non capitano mai nella vita e che colpivano la suaanima con una forza più grande, più efficace di qualsiasi altracosa avesse sperimentato nella vita – parole che gli rivelavanocome in lui ci fosse un luogo senza legami apparenti con ilcomune valore che si da agli avvenimenti della vita e chequesto luogo segreto deve essere quello in cui lui somigliadi più a quello che è veramente.Ma lui è poeta, quindi creatore. Non si può accontentare dileggere; deve scrivere. Insomma, lui non può accontentarsi,non può farsi bastare la gioia dell’arte. Ha bisogno di soffrireper l’arte, che lo faccia per meglio conoscere come richiedono,per essere ben conosciute, tutte le altre cose della vita.C’è bisogno, infine, che questa emozione, che sente, chesente in modo particolare, al contatto con le prime poesieche ha letto, lui la faccia sentire a sua volta agli altri. È ilsuo compito, la sua missione, d’ora in avanti la sua piùforte ragione di vita. E, naturalmente, le difficoltà nonmancano. Questa magia che lo ha stregato con la lettura,questo entusiasmo, questa malattia che gli ha fatto perdereterreno, è ben lontana dal fargli prendere in considerazionela scrittura... Può disperare, si può chiedere il motivo e fareil bilancio. È che ora non è più sotto l’influenzamagica delle parole, sono a sua disposizione, le usa. Sono licome un cumulo di pietre – e con le quali è alle prese. E leparole sono in tutto il mondo. Da dove vengono quelle chenon pensava come parole quando le leggeva? Bene,poiché le parole, infine, non servono ad altro che ad esprimerele idee e i sentimenti e che, complessivamente, non si basanoche su loro stesse.Allora, si preferisce vedere queste idee e questi sentimenti. –questo è anche peggio. Queste idee, questi sentimenti, visti tuttid’un tratto sono ancora più comuni. Eppure è proprio da questeparole e da questi sentimenti che sono di chiunque che è stato ungiorno colpito come dalla più grande novità del mondo. Questoè, vedete, il famoso: Tutto è stato detto ed è troppo tardi di LaBruyère che venne pronunciato per la prima volta, con tantamodestia e semplicità, due cento cinquanta anni fa. Poichéniente sarà mai detto in maniera definitiva fintanto che l’uomoavrà bisogno di esprimersi per vivere.E il poeta scrive. Scrive innanzitutto per svelarsi a se stesso, percapire di cosa sia capace, per tentare l’ambiziosa avventura diaccedere forse un giorno nel campo magico, dove si trovano leopere che ama che sono riuscite a procurargli una nostalgiaopprimente. Se è veramente destinato, non passerà moltoaffinché capisca che quello che importa è di arrivare a mettere inchiaro quanto c’è di meno conosciuto in se stesso, quanto di piùsegreto, di più nascosto, di più difficile da individuare, di unico.E, se egli non sbaglierà strada, il risultato sarà presto ben piùsemplice da ottenere. Poiché, se quello che importa è soprattuttoquel poco che serve ad esprimere la propria personalità piùintima, importa altrettanto, e non di meno, il modo particolare incui viene espressa. In effetti, per strano che possa sembrare, se ilmodo in cui ci si esprime sarà molto semplice e comune porteràal più segreto, al più celato, al più intimo luogo di ciascuno eprodurrà lo choc. Poiché lo choc poetico non è della stessanatura di quello delle idee con cui conosciamo e apprendiamodall’esterno qualcosa che ignoriamo; ma è una rivelazione diqualcosa che noi portiamo ignari in noi stessi e per la quale cimancano le parole giuste per rivelarla a noi stessi. Questaperfetta espressione donataci dal poeta noi la facciamo nostra, cene approfittiamo, quest’espressione, sarà, d’ora in avanti, quelladel nostro proprio sentimento che abbiamo sposato.Facciamo un esempio appositamente scelto perché privo disublime, di una vistosa banalità e ugualmente di una volgaritàtra le più scabrose. Quando Rimbaud comincia la sua poesia Lecœur volé con quei due versi che non hanno niente di quello ched’abitudine chiamiamo sentimento o argomento poetico:Il mio triste cuore bava a poppaIl mio cuore pieno di caporaliForse sarebbe stato egli stesso sorpreso dall’essere usato comeesempio, tuttavia credo di trovarvi il sostegno a quanto vogliodire – In questi versi non c’è nulla di straordinario, di squisito, diprezioso, semplicemente l’espressione di un malessere chechiunque può aver sperimentato per aver fumato troppo quandoera giovane – o per essere stato in barca troppo a lungo –difficile da dire onestamente. Resta il fatto che, da che il mondoè mondo, ed è passato tanto di quel tempo – più di quel checrede La Bruyère – e tra i miliardi di uomini che si sonosucceduti sulla terra – e sono molti, non ce n’è uno che haespresso una cosa così volgare con tanta semplicità, forza egrazia, quanto il solo Rimbaud. Il nostro cuore, cosa abbiamo dipiù prezioso che questo organo. Immaginate ora che alcunepersone riunite attorno alla stessa vasca hanno lasciato cadere,inavvertitamente, i loro preziosi cuori e che, rimasti vivi permagia, cerchino in fretta di ritrovare ognuno il proprio perpotersene andare. Impossibile, stesso peso, stessa forma, stessoaspetto – cuori di carne – cuori umani alla fine – assolutamenteintercambiabili come le due banconote da mille sopra il tavolo dicui parlavamo prima. Tuttavia, tra questi cuori ce n’è uno checomincia a parlare e dice: Il mio triste cuore bava a poppa...Scusate, direbbe Rimbaud, quello è il mio. Perché quello cheresta del cuore di un poeta è quello che ha detto.                                             Pierre Reverdy                                         "Quest'emozione chiamata poesia"                                        (Cette émotion appelée poésie)        (perdonate le lungaggini del post ...)