spes.ultima.dea

Louis Icart


   
   I.Vorremmo conservare la purezza, avesse pure il male piú realtà.Vorremmo non odiare, se anche il maltempo disperdesse i semi.Chi sa la leggerezza che è nei semi esiterebbe ad adorare il tuono.II.Seguo la linea indecisa degli alberi, dove aerei i piccioni batton l’ali: tu, carezzata dove nascono i capelli… Ma sotto le dita s’apre la distanza, si spezza come paglia il dolce sole.III.Terra allo stremo qui. Ma fa che piova un giorno solo, e un fremito d’umidità lascia intuire che tornerà nuova. La morte ha per un attimo quest’aria fresca del bucaneve…IV.In me si staglia il giorno come un toro, tanto che quasi lo diresti forte… Potessimo stancare il matador e ritardare un po’ la messa a morte!V.D’inverno, l’albero si raccoglie.Poi un giorno il riso gorgoglia e il mormorio delle foglie, le gemme dei nostri giardini.Per chi non ama piú nessuno, la vita è sempre piú lontana.VI.O primi giorni di primavera nel cortile di scuola giocando tra due classi di vento!VII.Sono impaziente e insieme preoccupato: chi sa che piaghe, che tesori porta un’altra vita? Scaturisce in gioia la primavera, o soffia verso morte. – Ed ecco il merlo. Una ragazza timida esce di casa. L’alba è nell’erba umida.VIII.Vedo, a grande distanza, la strada coi suoi alberi e le case, e il vento fresco di questa stagione che spesso muta senso. Una carretta passa con sopra dei mobili bianchi nel sottobosco d’ombre. Davanti vanno i giorni, e quel che resta, mi basta poco tempo a farne il conto.IX.I mille insetti della pioggia hanno lavorato tutta la notte; gli alberi sono fioriti di gocce, il temporale è un rumore di frusta lontana. Il cielo però è ancora chiaro; e nei giardini risuona il mattutino degli attrezzi.X.Quest’aria che non vedi porta un uccello lontano e, senza peso, i semi da cui crescerà domani il margine dei boschi.Oh, come scorre la vita verso il basso, testarda!XI.(La Senna, 14 marzo 1947)Il fiume incrinato s’intorbida. Le acque salgono e lavano il lastricato delle rive. Perché dall’Oceano è sceso l’alto e cupo barcone del vento, pieno di semi gialli. Fluttua ovunque un odore d’acqua, lontano e dolciastro… Si trema soltanto ad avere sorpreso palpebre aprirsi.(Luccicante, c’era un canale da seguire, il canale della fabbrica, e si gettava un fiore alla sorgente, per ritrovarlo in città…) Ricordo d’infanzia. Mai uguali le acque, mai, uguali i giorni: e chi prendesse l’acqua tra le mani…Si accende un fuoco di rami sulla riva.XII.È fluido questo verde, trema, brilla, come zampillo d’acqua di fontana, sensibile anche al minimo spiracolo; e uno sciame sembra si sia posato in cima all’albero, d’api ronzanti; paesaggio leggero in cui ci chiamano uccelli mai visibili, voci, senza radici come semi, e pure tu, coi tuoi ricci spioventi su occhi chiari.XIII.Di questa domenica un solo istante ci ha raggiunti, quando la nostra febbre si è placata, e i venti: e sotto le luci di strada le cetonie si accendono, poi si spengono. Luminarie, diresti, lontane in un parco, forse per la tua festa… Anch’io avevo creduto in te, anch’io bruciavo della tua luce, che poi mi ha lasciato. Il loro guscio scricchiola secco mentre cade nella polvere. Altri salgono, altri s’infiammano, e io sono rimasto nell’ombra.XIV.Ovunque, cenni: i lillà ansiosi di vivere e i bambini che smarrivano i palloni dentro i parchi. Poi, quelle zolle rivoltate lí vicino, che denudavano, radice su radice, l’odore di donna stanca… Nulla, inezie, con cui l’aria tesseva la sua tela tremante… E io la laceravo a furia d’esser solo e cercar tracce.XV.Nuovamente i lillà si sono aperti (ma non è piú una garanzia per nessuno), sfrecciano codirossi, e alla domestica, se parla ai cani, la voce si addolcisce. Le api lavorano nel pero. E sempre resta in fondo all’aria, questo ronzio di macchine…                               Philippe Jaccottet                                         da J