IO CE L'HO PROFUMATO

L'APPARTAMENTO quasi SPAGNOLO


Quando mi sono iscritto di nuovo all'università, quasi trentenne, lavoravo già da qualche anno. Così, per avere un punto d'appoggio nei periodi degli esami, ho affittato una stanza in un appartamento di studenti fuori sede.I miei coinquilini, all'inizio, erano intimiditi. Un po' rustici, ma molto rispettosi, mi vedevano come una persona "grande" (a vent'anni quelli di trenta li consideri con un piede nella fossa) e così, quando ero in casa, cercavano di comportarsi da bravi ometti: mi lasciavano il passo nel corridoio, prima di uscire salutavano e chiedevano se avessi bisogno di qualcosa, tiravano lo scarico dopo aver fatto pipì, cercavano di non dire male parole, evitavano persino di parlare in dialetto cosentino stretto, manco io fossi di Bolzano.Quando hanno capito che ero un tipo alla mano, però, si sono sciolti, tornando alle loro occupazioni preferite, nel tempo libero dallo studio (circa 23 ore e mezza al giorno): fotografarsi le chiappe, gettare bacinelle d'acqua sul gatto del balcone sottostante, incendiare le scorregge, origliare la vicina bona che trombava. Per svolgere al meglio quest'ultima attività, avevano anche rubato per strada uno di quei coni di plastica a strisce bianche e rosse che segnalano i lavori in corso. Lo appoggiavano alla parete dalla parte larga e mettevano l'orecchio all'altra estremità, utilizzandolo come un grande cornetto acustico.Pian piano, sono stato adottato dai ragazzi come cuginopiùgrande, colui al quale chiedere consigli sulle donne (teoriche, avevano il bagno pieno di riviste sconce), sugli esami (ancor più teorici, le riviste sconce erano anche sulle scrivanie) e su tutte quelle cose che avevano difficoltà ad affrontare e gestire.In particolare, la lontananza da casa e la convivenza con altre persone.Fisiologicamente, infatti, ogni tanto la tensione in casa saliva, soprattutto nel periodo degli esami. E allora andavano marcati a uomo.Ho sventato, all'ultimo secondo: l'incendio delle lenzuola stese dalla condomina del piano di sopra ("tolgono luce"), il lancio di un vaso su un'auto parcheggiata sotto casa ("sto cazzo di allarme suona ogni cinque minuti"), il taglio dei fili dell'antenna centralizzata ("mi dispiace per gli altri, ma c'è uno stronzo che tiene sempre il volume alto").Il segnale che la misura fosse colma era dato dal cono di plastica. Quando, anziché origliare, cominciavano ad utilizzarlo come megafono (dirigendosi verso la parete, uno dava il tempo come Peppiniello Di Capua HOP HOP HOP HOP HOP HOP e un altro faceva Galeazzi NON LI PRENDONO PIU', NON LI PRENDONO PIU', MANCANO DIECI COLPI, FORZA FRATELLONI D'ITALIA!), capivo che era giunto il momento di caricarli tutti e quattro in macchina e portarli da qualche parte.Siamo andati insieme in tanti posti, dove li ho sempre obbligati a visitare qualcosa di interessante, prima di andare verso lo struscio, dove c'erano ragazze, negozi, gelaterie e pizzerie.Io, che ero il colto del gruppo, oltre che il saggio (pensate come eravamo messi), raccontavo loro la storia dei posti che visitavamo. Se davvero sapevo qualcosa, la dicevo, altrimenti inventavo al momento, con la faccia seria. Tanto, chi volete che se ne accorgesse? Il mio cavallo di battaglia era Ulisse, che ho fatto sbarcare un po' ovunque: in tutti i quartieri di Messina, a Taormina, a Milazzo, a Lipari, ad Aci Trezza, persino a Castelmola, splendido borgo su un cucuzzolo sopra Taormina.Ed è stato proprio a Castelmola che sono riuscito a fare breccia nel loro ostentato disinteresse per la bellezza dei luoghi. La mattina dopo, infatti, mi sono quasi commosso leggendo sul calendario della cucina una scritta a caratteri cubitaliGRAZIE DON LUIGI, CASTELMOLA E' UN PAESE CON I CAZZIE sì, sono queste piccole cose quelle che danno soddisfazione, credetemi.Piccole, ma anche no.