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RESTA RIBELLE

Post n°164 pubblicato il 07 Maggio 2015 da giginosco

Non so cosa pensiate voi dei tatuaggi, ma so quello che ne penso io.
Niente.
Niente di niente.
Anzi, usando il verbo "pensare" ho anche esagerato, perché la cosa mi interessa più o meno quanto i risultati della serie C di calcio giapponese.
E' vero che sghignazzo interiormente, quando in spiaggia vedo un ragioniere con la panza combinato come un guerriero maori, o uno che sbaglia a scrivere in italiano che ha degli ideogrammi giapponesi sul braccio, ma altra attività cerebrale all'argomento tatuaggi penso di non averla mai dedicata, in vita mia.
Qualcosa, però, è ora giunto a scuotere la mia piacevole condizione di torpore mentale: la mia amica Giulia mi ha orgogliosamente comunicato la sua decisione di farsi incidere all'interno dell'avambraccio la frase "RESTA RIBELLE, NON TI BUTTARE VIA", tratta da una canzone dei Negrita.
La mia prima reazione alla notizia è stata perfetta: encefalogramma piatto.
Al che lei, probabilmente scambiando la pausa dovuta al mio vuoto di pensiero per perplessità sulla sua scelta, ha pensato bene di illustrarmi il piano dell'opera: la funzione del tatuaggio sarà quello di promemoria per se stessa.
Non l'avesse mai fatto.
Alla excusatio non petita, come spesso accade, mi si è accesa la lampadina cerebrale, e ho involontariamente elaborato una mia opinione sull'argomento "tatuaggi promemoria sull'avambraccio resta ribelle non ti buttare via".
Ve ne faccio partecipi per poi eliminarla subito, non vorrei che stazionando troppo nel cervello mi danneggiasse le altre otto o nove opinioni, quasi tutte su donne o schemi calcistici, ivi residenti da decenni.
Concentratevi, ché è alta filosofia del dettaglio.
Se lei non mi avesse detto che il tatuaggio è un promemoria per se stessa, io avrei pensato che il suo unico e non recondito scopo fosse quello di sentirsi più trendy, più fashion, più cool. Va bene, ho scritto parole inglesi a casaccio, però ci siamo capiti: più gnocca del ventunesimo secolo.
L'ago fa sì male, ma se bella vuoi apparire almeno un poco hai da soffrire?
La frase non è neanche tanto lunga, dopotutto, ad occhio direi che ha un buon rapporto effetto/sofferenza. Mica ha scelto "senti Roy come spacca con la tromba, questa è la ricetta della buena onda, senti la tromba, piega la bomba, piega la bomba" che, pur vuota di significato, per essere tatuata tutta richiederebbe lunghi supplizi e almeno tre avambracci.
Se non mi avesse detto che la frase è un promemoria, l'avrei mentalmente vista consultarsi in via preventiva con le amiche per deliberare che sì, è proprio una scritta molto significativa, ideale per un tatuaggio sull'avambraccio: a nessuno dovrà mai venire in mente, neanche per sbaglio, che lei sia una ribelle a tempo determinato, disponibile a buttarsi via, foss'anche nella raccolta riciclata.
Dirò di più: l'avrei anche appoggiata, perché si sa che il tatuaggio ingrifa i maschietti e costa molto meno che rifarsi le tette, e l'avrei osservata con benevolo e complice occhio da zio, quando avrebbe risposto fintamente schiva ai suoi coetanei trentenni che proprio no, quella frase non voleva affatto essere una stolta ostentazione del proprio animo ribelle, ma solo un promemoria, aggiungendo in tal modo all'effetto ingrifante del tatuaggio quello della ribellione autentica e non solo dichiarata.
Non avrei avuto niente da ridire, insomma, le avrei giusto consigliato di usare questa storia solo con i giovanotti in trance ormonale, notoriamente disposti a credere a qualunque cosa pur di non contraddire la portatrice sana di tette che hanno davanti.
Perché a noi che non siamo molto fantasiosi, e i promemoria li scriviamo banalmente sui post-it attaccati al frigorifero, l'avambraccio non sembra il posto ideale per prendere appunti così importanti. Uno che fa, d'estate resta ribelle e manda tutti a morire ammazzati e invece in inverno, visto che usa le maniche lunghe, se ne scorda e insegna catechismo ai bambini?
Perché a noi che siamo poco al passo con i tempi, e non cogliamo la forza dirompente e rivoluzionaria del tatuaggio informativo-segnalativo-divulgativo (soprattutto quelli un po' attempati come me, cresciuti in un'epoca in cui i tatuati erano solo marinai, galeotti e tamarri), la frase sull'avambraccio arriverebbe così: "sono un'insicura e, perciò, non posso lasciarti libero di farti autonomamente un'opinione su di me. Ti dico io quella che devi avere, perché altrimenti c'è il rischio che tu sbagli e non capisca che io sono autenticamente ribelle".
Succede sempre, se ci pensate bene, a chi cerca di indottrinare gli altri su quel che devono pensare di lui. Dice "sembro una pappamolla, ma in verità sono una persona molto volitiva" o anche "sembro stronzo, ma in verità mi tutelo perché mi fido di tutti e poi prendo fregature", e cosa concludono quelli che lo ascoltano? Che è ancora più pappamolla e stronzo di quello che pensavano.
Tutto questo se non mi avesse detto che il tatuaggio è un promemoria.
Invece, precisando che non si tratta di un semplice orpello e portandomi, in tal modo, a riflettere sulla frase che contiene, mi ha fatto giungere alla conclusione che il messaggio è incompleto.
Mi spiego.
Escludo che col tatuaggio voglia comunicare la propria intenzione, in ossequio al significato stretto del termine ribelle, di partecipare ad una rivolta contro l'autorità costituita.
Lo escludo per due motivi: il primo è che il tatuaggio la farebbe scoprire subito, non potrebbe neanche lavarsi le ascelle in presenza di rappresentanti delle forze dell'ordine. Il secondo, ancor più convincente, è che, se pur riuscisse a sovvertire l'autorità, leggendosi il tatuaggio sarebbe poi costretta a combattere la nuova autorità per riportare al proprio posto la precedente, da estromettere nel momento in cui riprenderà il potere. Una vitaccia, per carità, non ce la farebbe nemmeno Pannella giovane.
A cosa si ribellerà Giulia, allora, per tutti i secoli dei secoli?
Alla fame nel mondo? Alla pena di morte? Alla xenofobia? Alla misoginia?
Se è così, va bene.
Andrebbe benino anche se avesse intenzioni di ribellarsi a cose un po' più, diciamo così, vaghe: all'ingiustizia, al malaffare, all'immoralità.
Voliamo più basso, senza caricare il suo avambraccio di eccessive responsabilità, mi sta anche bene che si ribelli all'obbligo della tesi per laurearsi, alle simulazioni in area di rigore, alla foto di Moccia in quarta di copertina, ai pantaloni a zampa d'elefante, ai peperoni in agrodolce, alla tombola fatta dalla cognata quando sono almeno dieci minuti che a lei manca un numero in ben due cartelle.
Si ribelli a quello che le pare, insomma, basta che lo scriva.
Altrimenti, sempre che i Negrita non abbiano qualcosa da obiettare, ho intenzione di proporle un compromesso che mi sembra onorevole: il tatuaggio se lo faccia pure ma, almeno per il momento, con l'henné.
Perché già autodefinirsi ribelle tout-court, per chi Che Guevara non è, suona abbastanza pretenzioso, ma scriversi sulla pelle che lo si resterà per sempre è proprio imprudente.
Ognuno ha il diritto di qualificarsi tale fino ad una certa età, se ne ha voglia, ma dopo i trent'anni dovrebbe essere consentito per legge esclusivamente a coloro che senza la reputazione di ribelli sarebbero disoccupati: rockstar, attori di road-movies, scrittori maledetti (maledetti dai lettori, spesso).
Anche io, lo confesso, se fossi Mick Jagger sarei un eterno ribelle, e sul fondo di tutte le mie duecento piscine avrei un mosaico con l'impertinente linguaccia degli Stones che lecca una tetta, alla faccia dei benpensanti piatti e noiosi.
Invece, non essendo Mick Jagger, ed avendo semplicemente un tappetino antiscivolo in gomma sul piatto della doccia (con i buchi a forma di delfino, per giunta, perché ho commesso l'errore di farlo scegliere a mia figlia), devo ripiegare su un'altra ambizione: raggiungere una reale autonomia di pensiero.
Perché se è inevitabile che, negli anni dell'adolescenza, fare l'opposto di quello gli altri si aspettano venga ritenuto un inconfondibile segnale, a se stessi e al mondo, dell'avvenuta emancipazione, è anche vero che portare troppo in là questo atteggiamento (moltissimi lo fanno fino alla tomba) non è spirito di ribellione, è incapacità di comprendere quanto si sia irrimediabilmente limitati e condizionati. E per contrasto, il che è anche peggio.
Lo dico per esperienza, da campione olimpionico di idiozia in età giovanile: l'autonomia  di pensiero non appartiene a chi segue la corrente, ma neanche a chi è schiavo del proprio voler sempre andare in direzione ostinata e contraria.
Ostinatamente, ostentatamente e stupidamente contraria, tante volte.

Basta così, mi sono dilungato fin troppo.
A questo punto, per fare bella figura, dovrei darvi una dritta su come raggiungere una reale autonomia di pensiero in tutti i campi.
Potrei inventare un metodo su due piedi, ma la verità è che non lo so, sono il primo ad avere serie difficoltà, soprattutto nel campo delle opinioni politiche: non riesco a farmi un'idea precisa di come la penso, finché su un argomento non si pronuncia qualcuno con cui so di essere in totale disaccordo su tutto. Ecco perché, da quando Giovanardi latita, mi sento disorientato e privo di certezze.
Quello che so è che essere un salmone che risale la corrente è indubbiamente affascinante, si possono guardare con malcelata sufficienza e una puntina di disprezzo tutti gli altri pesci che vanno borghesemente verso il mare.
Non si esce mai dal letto del fiume, però.
Senza contare che alla fine del percorso, giunti lì dove tutto nasce, lì dove dovrebbero esserci solo Verità e Purezza, chi si rischia di trovare?
Altri ribelli che ci hanno rubato l'idea, intenti a riempire un'ampolla mentre intonano "Va' Pensiero" con i rutti.
Arrivati lì con i SUV, ovviamente.

 
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cassetta2
cassetta2 il 26/10/20 alle 16:43 via WEB
Quando mi dicono "Siamo tutti sulla stessa barca", chissà perché, penso sempre alla Costa Concordia.
 
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