semplicemente io

Scritto da me... esercizio teatrale


Questa non è una storia… questa non è una storia inventata, fatta di principi e principesse… o di orchi, gatti, mammuth o bradipi.Questa è la storia di un uomo, un uomo non più giovanissimo ma neanche con il sale tra i capelli… un uomo che amava i libri, amava l’arte e la filosofia… ma soprattutto amava la solitudine!Nessuno può dire se in verità fosse una solitudine gioiosa o una solitudine sofferta… sta di fatto che aveva imparato ad ascoltare il silenzio e sentire le sensazioni scorrere come corrente sulla sua pelle. Era mattina di un giorno di primavera, quando l’aria era ancora frizzante, ma i raggi del sole riuscivano a penetrare la stoffa delle camicie di raso e le giacche di velluto costoso.Edward, il nome del nostro protagonista, la notte che precede il giorno del racconto fece degli incubi che al canto del gallo lo fecero svegliare con l’umore strano… non sapeva neanche lui spiegare a parole ciò che l’inconscio gli ebbe mandato… ma sta di fatto che non si sentiva tranquillo! La sua casa, un piccolo casale ereditato dai nonni, troneggiava su una collina piena di colori… c’erano i vigneti a perdita d’occhio tutt’intorno, degli alberi di frutta, dei greggi in lontananza e a qualche miglio di distanza il contorno di una cittadina, fatta di casine tutte color mattone e i tetti di un rosso acceso, come un magenta appena spruzzato su una tavola da pittore.Nel suo cortile, poco distante dal grande portone di legno, c’era un pozzo che il caro nonno aveva usato nei tempi che furono ed Edward non aveva toccato nulla della vecchia piantina di casa… amava il tempo immobile, fermo, da cartolina. Quella mattina si alzò, si lavò, prese una fetta di pane, ci spalmò con doverosa precisione del burro e la marmellata di albicocche; poi uscì. Aveva in mente dei ricordi di bambino, pensava a ciò che aveva imparato studiando, rifletteva sui suoi amici, pochi in verità… insomma gli balenavano in testa sensazioni così malinconiche che quasi gli occhi si riempivano di lacrime.Andò in città, si mise a camminare fra la gente, qualche saluto distinto fra tanti conoscenti, si fermò di fronte una vetrina e, mentre curiosava tra i libri, oggettini e cianfrusaglie, si fermò ad osservare, nel riflesso del vetro, un gruppetto di uomini: uomini vestiti di tutto punto, con giacche, cravatte, doppi petti. Uomini che con il loro aspetto occupavano la scena… bastavano gesti senza suoni di voce, sguardi così imponenti da capire cosa guizzava sotto i capelli… risate sonore per attirare l’attenzione… insomma, sembravano i padroni del mondo. Mentre era così immerso nell’osservazione di tale spettacolo, si accorse che poco più in là, due donne sciattose e ben truccate, sorridevano tenendo d’occhio il gruppo maschile… sembravano due adolescenti per come si atteggiavano, come si lasciavano scappare quei risolini come un richiamo… non si poteva non notarle.Edward rimase ancora catturato, gli piace vedere quella trama di cui conosceva il sapore… si divertiva a prevedere ciò che sarebbe successo… qualcuno del gruppo più numeroso si sarebbe avvicinato alle due donne, con garbo le avrebbe salutate e offerto da bere a entrambe… si sarebbe seduto al fianco della donna che gli interessava e avrebbe fatto di tutto x farglielo capire… è un film che aveva visto tante volte e forse era anche un po’ invidioso di tutte quelle persone che sono in grado di cogliere le occasioni per farsi amare… fosse anche solo per un pomeriggio… E lì, come un fulmine a ciel sereno, un flash… una fotografia… lei… lei con i suoi capelli ricci, lunghi, di color cenere… lei con i suoi occhi disegnati da un artista, lei che lo aveva fatto sentire un vero uomo solo con un sorriso… lei che era sicuro di amare ancora e che non avrebbe mai dimenticato… lei, così pura e lontana che neanche i ricordi potranno mai svanire con i soffi del tempo… la realtà tornò come un rombo di tuono… il riflesso del vetro adesso accoglieva una mamma che spingeva una carrozzina di neonato con vicino un altro pargolo che mangiava un gelato… dei tipi di prima nessuna traccia… si sentì gli occhi gonfi, pieni di lacrime… gli mancava il respiro… aveva bisogno della sua solitudine… come può essere triste un luogo pieno di persone, quando manca proprio quella del cuore… rifece la strada verso casa quasi di corsa, come se fosse rincorso da qualcuno… ansimava e dal suo petto uscivano dei sospiri rumorosi, somigliavano al suo nome… Arrivò nella sua casa… negli occhi aveva solo un vetro appannato… non doveva cedere, no, non in quel momento… si sdraiò nel suo letto e riuscì ad addormentarsi… sognò una collina con una siepe… sognò stagioni… gli vennero in sogno piante mosse dal vento… e poi silenzio, il suo amato silenzio… Si svegliò lentamente, quando ormai le ombre erano allungate… rimase qualche minuto immobile, a fissare il soffitto… si sentiva meglio, le nuvole si erano allontanate dalla sua anima… si sollevò dal letto, lasciò una carezza vicino quella cornice sul comodino… e uscì… si incamminò fra i campi, tra le alture della collina, sapeva che lì vicino c’erano dei massi dove di fronte si stagliava uno spettacolo naturale… si sedette… chiuse gli occhi… fece dei respiri profondi e, quando i suoi dolci ricordi gli fecero sentire il profumo di lei, allora sorridendo iniziò a scrivere: “sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…”