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Freddo dicembre

Post n°3 pubblicato il 21 Dicembre 2009 da Faccio_le_capriole

E’ questo freddo intenso quello che attraversa il mio corpo.

La fragilità del mio fisico ne risente, come se un grande reumatismo abbracciasse per intero il mio scheletro. Cammino con le mie sigarette tra le labbra e prendo a calci le stalattiti di ghiaccio appese un po’ dovunque.

Sono un ricco disoccupato. Ricco certo, ma pur sempre disoccupato e come tale molle, indolente ed annoiato.

Molti mesi di cure, nel tepore californiano, attorniato da infermiere acide e siliconate, medici aggressivi, farmaci sconosciuti, terapie di gruppo, hanno per lo più minato il mio cinismo e la mia autocritica costruttiva. Senza queste due colonne portanti del mio carattere mi sento ancora più solo. E’ come se mi avesse lasciato anche l’omino impudente che abitava il mio cervello.

Il mio curriculum sulle scrivanie, o nei cassonetti della differenziata di mezzo mondo, ma anche quel pezzo di carta risente del mio recente passato. Quasi un intero anno di vuoto è seriamente difficile da spiegare e la fantasia non mi suggerisce nulla di creativo da scriverci… anno sabbatico? Inaspettata vedovanza? Schizofrenia? Cazzeggio?

In più, il morale crolla ancor sotto ai calcagni quando, dopo sei o sette colloqui che ti sembravano positivi, ti senti rispondere che sei troppo qualificato per questo o per quello. La crisi non aiuta certo, ma non ho mica capito perché.

Sono stato sulla tomba di mia moglie. Mente grattavo via lo strato di ghiaccio che la ricopriva, lei mi ha sorriso dalla sua foto ormai vecchiotta.

I preparativi per i Natale mi appaiono comici. All’ikea ho comprato un alberello. Uno di quelli che se li riporti tra un po’ ti fanno lo sconto. L’ho ricoperto con un fottio di lucine “Made in China”, babbi natale, palline e strisce sbriluccicose con la porporina che si stacca e si deposita ovunque.

Il risultato è un oggettino kitsch, che mi ricorda le insegne che si incontrano durante i “puttan tour” a San Pietroburgo.

Il presepio no. Quello proprio no. Non ce la faccio a farlo. Il bambinello resterà in paradiso, quest’anno.

Ho intrecciato gli inviti ricevuti per i vari pranzi e cene di Natale. La sera del 24 dovrei essere a cena contemporaneamente da mia zia e da una che mi dice che non troppo tempo fa eravamo davvero ottimi amici. Io me la ricordo a malapena.

Così grazie a questa doppia scusa che si interseca strategicamente il 24 me sto a casa mia. Sotto al piumone con un libro o davanti al PC. Gli alcoli sono banditi da casa, ma magari uno scotch torbato, non tropo impegnativo, servito assolutamente senza ghiaccio in un bicchiere bello grande, può venire fuori dalla dispensa segreta. Che poi tanto segreta non è visto che è il mobile della cucina.

 

Sono un omino minuto, malaticcio, sofferto e confuso. Ho una carnagione verdastra, la barba a chiazze (l’altro giorno mi sono rasato solo a destra dimenticandomi mezza basetta a sinistra), sono calvo (quando mi rado con la lametta, sotto alla doccia, devo stare attento a trovare i capelli da tagliare), impotente e miope. Sbaglio l’accostamento dei vestiti, ho l’erpes a tempo pieno (si limita a spostarsi da un labbro all’altro), la schiena di un ottantacinquenne, la memoria del dottor Alzhaimer in persona ed il mio intestino produce miasmi invidiati dagli arsenali chimici di mezzo mondo.

 

Ho comprato un materasso nuovo. Uno di quelli ortopedici, che sostengono tutto il corpo in modo equilibrato. Mi sembra di dormire su una tavola di tek. Almeno non scricchiola.

Ho scelto un po’ di regali. Sono stato in giro con due amiche lesbiche che mi hanno consigliato un mare di cazzate inutili da portare questo od a quella. Magari glieli spedisco con un corriere: probabilmente non arriveranno mai per tempo, ma almeno mi risparmio ore di coda in città. Per me medesimo ho scelto uno di quei sistemi surround che suonano come un prodigio.

Mentre lo pago mi accorgo che voi donne siete tutte strane. Anche in condizioni di gelo supremo vi agghindate fuori logica. La tipa che mi precede nella coda alle casse, indossa degli stivali con il tacco e pantaloni aderenti che mettono in mostra un paio di natiche sorprendenti.

Per quanto piacevole alla vista mi chiedo perché non indossi non un bel paio di scarponi e dei jeans pesanti?

Per non scadere nel morboso, quando si volta evito di controllare la scollatura, così le sorrido e lei mi ricambia, suscitando l’invidia delle due pazze farlocche che mi accompagnano. Si sgomitano un po’, come oche, manco non fossero reciprocamente fidanzate.

Mi chiede come sto, cosa faccio, e cicì, e cocò… come se mi conoscesse… e dopo un po’ mi ricordo che la conosco. Da qualche parte, qualche anno fa, ma non troppi… insomma amica di amici… credo.

La città è piccola ed il senso di pietà che suscita la ma condizione non smette di inseguirmi.

Sbaglio e le guardo le mani. Curatissime e senza anelli. Lei se ne accorge, perché le donne se ne accorgono sempre.

Parliamo fino a quando non è il suo turno di pagare. Ha una specie di frullatore che fa anche un sacco di altre cose, tipo la colla da parati e se gli metti dentro un cartoncino produce un origami a forma di windsurf credo… Le carte di credito sono lentissime a passare. E quindi si prolunga ancora un po’ la nostra vicinanza.

Visto che le sue carte di credito continuano a non passare mi offro di provare con una mia. Sono proprio un ocone ingenuo, vero?

Eppure, proprio in quell’istante, mentre la cassiera è ormai frustrata di strisciare pezzetti di plastica, ecco che riesce con il pagamento.

Elena (così si chiama) mi aspetta con il suo pacchetto in mano, mentre pago (in contanti) il mio pacco.

Le due pazze si litigano il pagamento delle loro scemenze e di nuovo le loro carte di credito imballano la situazione e la coda si allunga.

Ci parliamo ancora un poco e, non lo so spiegare soprattutto perché non ho mai avuto buon intuito, credo di piacerle. Mi sento di fare un po’ piacione. Dal verdognolo ammuffito della mia carnagione e con la mia erre molle, sparo almeno un paio di perifrasi  che mi sembrano essere brillanti.

Poi arrivano anche le due oche ed il mio mood torna alla normalità opaca, che poi è il mio vero io sincero.

Così Elena viste le due ciarlatane con cui mi accompagno se ne va, io, mentre si allontana le riguardo le chiappe e le due citrulle mi chiedono se mi sono fatto dare il suo numero di telefono.

Ad alla mia risposta negativa, mi dicono che era per loro e non certo per me.

 

Ora mentre rientro a casa, nevica. La neve mi piace sempre. Mi fa sentire bambino.

 
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