Creato da Faccio_le_capriole il 13/04/2009
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Uomo...... nuovo

Post n°2 pubblicato il 09 Novembre 2009 da Faccio_le_capriole
Foto di Faccio_le_capriole

Ho 35 anni.

Questa è un anomalia. Prima di tutto matematica e semantica: sono 19974 giorni per non citare tutte le altre ulteriori frazioni temporali univoche che li compongono.

Poi, di certo, anche umana. Sono tornato, mi dico guarito. C’è qualcosa di immortale in me, non può esserci altra spiegazione.

 

L’invidia è decisamente il primo sentimento artificiale che provo.

Non so dire a cura di quale neurotrasmettitore sintetico, sia dovuta.

Resta il fatto che distinguo chiaramente quel che provo per quel signore che mi sedeva accanto in aereo e che, una volta sfilati i blandi controlli doganali, si fionda tra le braccia di una famiglia che lo attendeva. La moglie è asciutta, viso e capelli curati. I bambini troppo agitati per capire quanto sta realmente accadendo. Scommetto nell’attesa di qualche regalo.

In qualche modo invidio quasi tutti gli altri, anche il cane al guinzaglio del finanziere, la tipa che vende tabacchi, il crocchio di hostess e comandanti, i giapponesi che seguono l’ombrello rosso della guida. L’elenco non è finito.

L’invidia è un sentimento “motrice”. Anche se il mio strizzacervelli non è mai stato d’accordo per questa definizione resta una delle tre chiavi che mi hanno scassinato.

Invidia, l’ostinazione e le pasticche.

 

Io mi accontento di scegliere con calma il mio taxi. Invidio anche questa signora di mezza età che guida veloce in mezzo al traffico senza nemmeno provare a fare conversazione.

Piove fitto ed ho la tentazione di disegnare con il polpastrello sul vetro appannato, ma mi compiaccio anche inseguendo con lo sguardo la corsa delle gocce su vetri.

 

Ho un indirizzo, quindi una casa.

La casa è fredda e vuota.

Fredda solo perché il riscaldamento è spento.

Vuota difatti sono sulla soglie e non sono ancora entrato.

Risolvo entrambi i problemi piuttosto in fretta… no… non è affatto vero… per quanto i pavimenti ribollano, il freddo resta pungente. Per quanto io sia dentro la casa resta vuota.

Qualche giorno serve per tornare ad avere tutto il necessario: un telefono, un frigo pieno, la lavatrice che gira, qualche zio che ti viene a trovare. Mia suocera mi porta la pasta al forno. Lo fa sempre e credo che continuerà ininterrottamente a farlo. È il suo modo per essermi in qualche modo madre.

 

Snocciolo il mio guardaroba. Preparo pacchi per la Caritas zeppi di completi di Corneliani, cappotti Zegna, pantaloni di Armani. Mi va tutto largo. Mi è tutto inutile.

L’ostinazione mi è servita a fare spazio.

Quando uno esce di testa, così come è accaduto a me, trascorre così tanto tempo a guardarsi dentro da ogni possibile angolazione, che l’osservarsi stesso diventa patologico: puzza.

Quando qualcosa puzza molto probabilmente è monnezza e la pattumiera va portata fuori. Solo che ci si affezione anche a quella.

Solo grazie all’ostinazione, un sacchetto alla volta, ho portato fuori tutto quanto.

E dopo aver spazzato ora devo riarredare. La cosa profuma. Sa di avventura nuova. Finalmente.

 

Il giro al cimitero, mi sembra una fredda passeggiata autunnale. Il mio nuovo cappotto della Conbipel, scalda ugualmente ai suoi blasonati predecessori, ma in compenso, della giusta taglia, non mi fa apparire un emigrato dell’est il giorno della festa.

All’uscita mi fermo a mangiare le caladarroste. Ne deglutisco una montagna.

Cammino sulle foglie bagnate. Mi sarebbe piaciuto sentirle scricchiolare secche sotto ai miei piedi.

Sessanta giorni fa deglutivo l’ultimo boccone amaro. Mi sono sempre chiesto il motivo per cui debbano fare pastiglie dal sapore così sgradevole. Poi i sono spiegato che sia una scelta mirata a scoraggiare bimbi ghiotti ad assaggiarle.

 

In un passato, non troppo lontano e che mai lo sarà, ho perso tutto, O G N I   C O S A.

Ora per la prima volta ho la percezione di un futuro.

 
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