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venerdi 30 settembre

Post n°82 pubblicato il 30 Settembre 2016 da ocsurte

Sono entrato nel mio blog, con una certa fatica. Non mi ricordavo cosa si dovesse fare per scrivere un post. Daltronde, cosi almeno mi pare, sono qui solamente per ricordarmi della mia età, che sul profilo è aggiornata. Vado a letto con la speranza di non svegliarmi alle tre o alle quattro, come negli ultimi tempi mi accade sempre. Vado a letto e leggo un libro, perchè il vizio di scrivere non mi sta tornando e forse è meglio cosi. Si, il vizio di scrivere a volte non torna. Non è come il fumo, che magari hai smesso da dieci anni e poi una sera riprendi, con tutta naturalezza. Va bene, fumo una sigaretta e vado a letto. Buonanotte.

 
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Post n°81 pubblicato il 13 Settembre 2015 da ocsurte

 
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"La classe non è acqua"

Post n°79 pubblicato il 16 Febbraio 2014 da ocsurte

 

 

L'aria contenuta in quel piccolo ambiente era satura dell'odore acre e dolciastro della polvere da sparo, perfino nel mio stato, lo avvertivo distintamente. Forse perché avevo smesso di fumare. Dicono che quando si smette, dopo aver fumato per tanti anni anche quaranta sigarette al giorno, di colpo ci appaiono odori, sapori e fragranze di cui avevamo dimenticato l'esistenza. Non poteva essere quello, il motivo di questa sensibilità agli odori, ne ero certo. La vera domanda era in virtù di che cosa, io me ne stessi li a discettare di quanto acre e denso fosse il fumo lasciato da un solo colpo di trecentocinquantasette magnum.  Nei giorni e nelle ore in cui avevo deciso e preparato quel mio "gesto", ero stato più che certo che da questo mi sarebbe derivato uno status tutt'altro che cosciente, che non sarei esistito più, altro che odori e quant'altro. Eppure adesso non potevo che essere sbigottito dal gran botto che la trecentocinquantasette aveva fatto, molto aldilà di quello che mi ero immaginato. Un botto talmente forte che, in virtù della segnalazione dei vicini spaventati, dopo poco più di mezz'ora ero stato ritrovato. Ora mi vedevo li, seduto per terra tra il tavolo e il radiatore, nell'accogliente annesso alla mia abitazione, in compagnia di un sovrintendente di p.s. dalla divisa sdrucita. Che fossi riuscito soltanto a procurarmi una ferita e adesso fossi ancora vivo e cosciente? Lo escluderei. Anzi, lo escludo. Avevo fatto un ottimo lavoro, da perfezionista quale ero sempre stato. Avevo sempre aborrito gli spargimenti di sangue. Le ferite che sanguinano copiosamente prima che sopraggiunga la morte, sono sintomo di pressappochismo, di chi fa le cose senza amore. Bisogna fare in modo che il cuore si fermi istantaneamente, solo cosi non si ha sanguinamento.  Lo ripeto, avevo fatto un ottimo lavoro.  Avevo estratto le ogive di tungsteno dalle cartucce della tre cinque sette e, con lavoro certosino al banco, le avevo rese piatte e cave. Con perizia, le avevo reintrodotte nelle cartucce, avendo cura di togliere un terzo della polvere da sparo. I proietti si sarebbero frantumati all'interno del cuore, senza fuoriuscire dal dietro, avrebbero provocato l'arresto istantaneo del battito cardiaco e quindi nessun sanguinamento. Mi guardavo e trovavo conferma a questa mia teoria. Non avevo sanguinato per niente e avevo mantenuto il bel colorito mediterraneo di quando ero vivo. Me ne compiacevo ancora. Certo, avevo ottenuto il mio scopo e, benché mi sembrasse strano il poterlo essere, ora ne ero orgoglioso: avevo lasciato un bel cadavere. Tutt'altra storia, ne converrete con me, da chi si lascia straziare dal male in un letto d'ospedale o muore dopo anni di stenti avendo perduto coscienza di quel che è stato. Ridotto ad una larva che ha perso anche le sembianze dell'uomo e in balia della carità di parenti e infermieri che curano un corpo che non ti appartiene più.  Dentro  di noi c'è un qualcosa che ti spinge a fidarti di taluni e a guardarti da altri, tra le persone che, casualmente o meno, ti si avvicinano.  Se devi aspettarti un tradimento oppure se un giorno ti stupirai e gioirai della loro amicizia. Nella mia vita ho incontrato persone buone, alcune le ho amate sinceramente. Sono certo che loro non si sentiranno tradite, da questo mio gesto, consapevoli delle cause che mi hanno spinto a tanto. Spero che la mia ragazza Bulgara non soffra troppo, lei cosi lontana da casa e che in me ha trovato amore e fiducia. Lei di certo capirà, i motivi della mia scelta. Già, i motivi, la scelta. Ora che ci penso non sono sicuro di ricordarli, ma è comprensibile, sono morto da non oltre un'ora e non mi sono ancora abituato allo status. Scusate, ma quel sovrintendente dalla divisa sdrucita continua ad aggirarsi intorno a me, sta tramando qualcosa. Ecco una persona di cui "a pelle" senti di non doverti fidare.  Ha messo gli occhi sulla tre cinque sette nuova di zecca che stringo nella mano destra, estrae una quarantacinque arrugginita che portava legata alla caviglia. Questo pezzente vuole fare a cambio, non c'è dubbio, cerca di rimuovere le mie dita serrate dal calcio. Mi concedo una soddisfazione che non ha prezzo.  Vedere il terrore assoluto nei suoi occhi, quando gli appoggio la canna della pistola al cuore e sparo.  Di nuovo quella esplosione fragorosa, il sovrintendente seduto vicino a me, il terrore scolpito nello sguardo e nessun sanguinamento. "La classe non è acqua". La vicenda si complica, i poliziotti dentro la casa si sono precipitati nell'annesso, richiamati dalla voce fragorosa della trecentocinquantasette. Un bel problema, stilare il rapporto, meglio aspettare il magistrato di turno. Un sovrintendente fatto secco da un uomo che si è suicidato ore prima, due morti ammazzati che non sanguinano e con le guance rosee di chi ha la vita che gli scorre nelle vene, come la puoi spiegare? Non è un problema mio, io sono morto.  

 

 

 
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Non nel mio giardino.

Post n°78 pubblicato il 02 Febbraio 2014 da ocsurte

 

La peggior crisi dal dopoguerra, o perlomeno la peggiore da quando siamo vivi noi, la nostra generazione. I nostri genitori hanno dovuto rialzarsi dalle macerie che la follia della guerra aveva portato. Ma poi hanno usufruito di un lungo, ininterrotto periodo di crescita. Questo sviluppo, oggi ci rendiamo conto, ha portato molte storture sociali e danni gravi per l'ambiente ma anche un sensibile miglioramento delle condizioni di vita. Si è formata una borghesia benestante e anche la maggior parte delle famiglie operaie ha potuto comprarsi la casa e vivere dignitosamente. Inoltre il tessuto sociale "teneva", previdenza, sanità e scuola erano saldamente in mano pubblica e su di esse vigilava il controllo democratico della società civile. E' chiaro come il sole che in quegli anni di sviluppo, anche irrazionale e contraddittorio, non si sono verificate le condizioni al fine di arrivare ad una più equa distribuzione delle ricchezze prodotte. Si è preferito fare ricorso massiccio alla spesa pubblica, che ha indebitato noi e le generazioni a venire e niente si è fatto per impedire osceni arricchimenti di un dieci per cento della popolazione che detiene metà di tutte le risorse. Oggi la crisi colpisce duro e non ci sono più soldi pubblici da spendere, per arrestare il declino. Si deve almeno cercare di salvare i posti di lavoro, si deve colpire chi continua a evadere le tasse, si deve porre mano ad un processo di redistribuzione, tra chi possiede troppo e chi non ha niente. Oggi gli effetti della crisi mondiale vanno ad ingrossare le fila di chi non ha da mangiare, di chi fugge da situazioni di miseria e di guerra. Personalmente sono contrario ad aderire a qualsiasi forma di carità ci venga richiesta ad ogni angolo di strada. Se questa è una carità richiesta direttamente dalle persone interessate, ho motivo di sospettare dell'esistenza di un raket, quindi si andrà a favorire solo una categoria di furbi e prepotenti, e questo non è bene. Se la carità è richiesta da una associazione o comitato, sono ugualmente contrario perché nessuno mi solleva dal sospetto di andare ad ingrassare una struttura, magari anche poco trasparente, che lascia solo le briciole di quel che raccoglie. Chi paga le tasse che deve, ha diritto di chiedere che la risposta a tante emergenze interne e internazionali, sia a carico della fiscalità generale. Che sia lo Stato, come in parte lo è già, ad assicurare la operatività di tante organizzazioni non governative. Ci venga risparmiato di cadere nelle mille piccole truffe che vengono ordite agli angoli della strada e chi sente il desiderio di contribuire, lo faccia donando il suo tempo, non partecipando o promuovendo questue. Un capitolo a parte è quanto questa grave crisi abbia influito sull'aumento della microcriminalità. Non di gravi reati, si tratta. Pare che nelle nostre città  rapine e omicidi siano in diminuzione, anche per il contrasto delle forze di Polizia. Ci sono categorie deboli, che possono cadere ad esempio nel reato odioso di svaligiare un appartamento sfondando una porta o una finestra. Non so se questi episodi vadano attribuiti e in che misura a fenomeni di emarginazione presenti presso le popolazioni residenti Rom o Albanesi o di altra etnia, oppure siano maggiormente conseguenza di reati collegati all'uso di droga di ragazzi Italiani.  Sono comunque reati che nascono dal disagio, dal bisogno, dall'ignoranza e dalla emarginazione. Noi non abbiamo neppure il diritto di guardarli negli occhi, se la Società non farà qualcosa per loro. Per questo, chiunque tu sia, un bambino Rom indotto a rubare o un tossico Italiano, quando scavalcherai la siepe e penetrerai nel mio giardino, quando cercherai di forzare la finestra con il tuo cacciavite, io non ti guarderò negli occhi. Ti sparerò due colpi di fucile da dietro le tendine.

 

 

 
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Anni ruggenti

Post n°77 pubblicato il 05 Dicembre 2013 da ocsurte

 

Bruno ha ormai oltrepassato quella che convenzionalmente viene definita la soglia della mezza età. 55 anni suonati e pochi, non significativi, rimpianti. Gran parte del suo vissuto è costituito da pagine che, potendolo fare, lui strapperebbe volentieri, come parti di una sceneggiatura che riletta a posteriori appare del tutto inguardabile, ma lui si è sempre imposto di non recriminare contro il destino e ha ritenuto del tutto inutile pentirsi delle scelte intraprese nel corso della vita, neppure di fronte ai fallimenti certificati in maniera inconfutabile dagli eventi. Una sorta di autoassoluzione  che lo ha sempre aiutato ad andare avanti. Certo, se in talune fasi cruciali della sua esistenza avesse tenuto comportamenti diversi, fosse talora stato più pragmatico e non avesse sempre e comunque ceduto il passo a ciò che un istinto indomabile e un carattere fiero ed orgoglioso gli dettavano, il consuntivo che ora traspare da queste righe e il bagaglio di pensieri ed esperienze che ingarbugliano la mente di Bruno, oggi sarebbe altra cosa. Aldilà di quanto di negativo gli sia capitato nel corso della vita, per lui il cruccio maggiore è forse quello di non aver potuto vivere con tutta l'intensità che avrebbe voluto. Come si fa a stabilire se un'esistenza è stata realmente degna di essere vissuta oppure è stato solo uno stanco trascinarsi di adempimenti biologici essenziali?  Ha veramente amato, Bruno, ha lottato e sofferto a sufficienza per inseguire quello in cui crede?  Nella mente di Bruno, alla luce delle esperienze vissute, si è fatta largo la convinzione che l'intensità delle emozioni vissute e il loro ripetersi e ripresentarsi senza soluzione di continuità in tutte le epoche della vita, sia inversamente proporzionale alla quantità e qualità del successo e stabilità raggiunte. Ovviamente questa convinzione deriva da un assunto del tutto arbitrario e, se vogliamo, presuntuoso. Sarebbe come voler affermare che chi non ha provato sulla propria pelle la furia degli elementi di cui è capace il mare, non sia in grado di apprezzare la bellezza della navigazione. Non sappiamo fino a che punto Bruno sia nel giusto a ritenere i ripetuti sconvolgimenti della sua  vita sentimentale e una eternamente non consolidata posizione sociale, come ineludibili accadimenti di una navigazione "a vista", in cui le insidie e le sfide, più che evitarli, le ha sempre accolte e affrontate, anche con una buona dose di intimo compiacimento. Forse ha solo inanellato una lunga serie di scelte sbagliate, forse è bene che si addossi le proprie responsabilità, non cercando alibi in una pretesa mancanza di fortuna. Si può dire che Bruno abbia sempre creduto in quello che ha fatto. Il suo matrimonio a poco più di vent'anni, ad esempio, a lui sembrava perfetto e non riusciva quasi a capacitarsi della fortuna avuta nell'incontrare quella ragazza. Nella realtà, poi, quella "fortuna" si tramutò nell'inizio di tutti i suoi guai peggiori e lui ne uscì con le ossa rotte. Si rialzò soltanto grazie alla intima consapevolezza che nulla avrebbe potuto fare per salvare il suo matrimonio. Si era scontrato con scelte molto forti e determinate di altri e la sua volontà non era contata niente. Poteva solo cercare di salvarsi, se avesse ritenuto che questa vita era ancora degna di essere vissuta. Bruno scelse in questo senso. Andare avanti e lottare. Quindici anni a parare i colpi che quella ragazza continuava a sferrargli per mano del suo avvocato e mai lasciarsi sfuggire una maledizione. Essere investito periodicamente da torrenti di bugie e non derogare mai da un comportamento corretto e dignitoso. Bruno teneva molto al suo stile. Non fece mai niente che lo portasse a compromessi con la sua coscienza, anche nelle scelte più dure, anche quando si trattò di convincersi di non essere mai stato padre. Continuava ad apprezzare la vita, non perdeva occasione per cercare intensità e profondità. Non fece mai niente, o solo molto poco, per procurarsi un'esistenza agevole. Si perdeva in attività di scarso risultato pratico, se rapportate ai tempi attuali. Aveva un passo differente che male si adattava ad affermarsi socialmente ed economicamente, di questi tempi. Con il tempo affinò una sensibilità spiccata per gusti e sapori desueti. Apprezzava, della vita, quello che la maggioranza delle persone aveva disimparato. Chi, tra quelli che lo incontravano, riusciva a posare uno sguardo meno che superficiale sul suo animo, ne rimaneva anche colpito. Non si può dire che fosse una persona banale, scontata. Cercava sempre un'altra interpretazione delle cose e dei fatti, lui sapeva sempre che per tutto esisteva un'altra spiegazione, un altro modo di vedere le cose. Continuava a percorrere il suo tempo, interpretava la vita da attore non protagonista. Capace ancora di convivere con una donna per altri quindici anni senza condividerci niente di veramente profondo e senza provare l'impulso di staccarsene. Solo per non mancare ad una parola, solo perché lui non usa le persone. Casomai il contrario. Qualcuno potrebbe pensare ad una qualche forma di vigliaccheria, nel non voler prendere atto di un amore sterile, che non è mai stato tale. Non si può dire che Bruno sia mai stato una persona saggia e probabilmente mai lo sarà.  Ma se ad una persona ci ha legati anche solo una precedente distinta storia sfortunata che ci ha ferito e resi simili, è pur sempre stata una condivisione.  Aspettare e sincerarsi che sia ineluttabile un distacco invece che rifiutare e abbandonare non è vigliaccheria. E' rispetto. Altre donne hanno provato ad innamorarsi di lui, una c'è riuscita. I sentimenti hanno bisogno di un tempo e di un luogo, per esistere. Se tempi e luoghi sono improponibili corrono il rischio di interagire sulla sostanza e sulla realtà e non saprai mai se l'amore è una causa o l'effetto. La vita per Bruno, come per tutti quelli che ne hanno incrociato la strada, fortunatamente continua. Affrontarla con lo spirito del combattente, fino a che sarà possibile, è la sua determinazione. Alzarsi prima dell'alba e affrontare un giorno che comunque ti riserverà colori e sapori sempre nuovi, se avrai l'umiltà per saperli apprezzare. Conoscere il buono e il bello che c'è dentro tante persone, se riesci a scendergli nel profondo. La Smith & Wesson da sei pollici nel cassetto della scrivania può aspettare. 

 

 

 
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La bottiglia di Pernod

Post n°76 pubblicato il 08 Luglio 2013 da ocsurte

 

Roberto spinge il carrello delle pulizie attraverso i corridoi delle aree classificate. Sosta davanti agli uffici, entra e svuota i cestini, passa la scopa elettrostatica. Spolvera le scrivanie ingombre di documenti riservati, lava i pavimenti di gres porcellanato chiaro con lo straccio umido. Passa poi ai bagni, locali sufficientemente ampi e luminosi divisi in due tra maschi e femmine, che si aprono sul corridoio, uno ogni dieci dipendenti. Stessa pulizia anche più accurata, controlla che non manchi la carta igienica.  Svolge con diligenza, il suo nuovo incarico alla centrale. Roberto, figlio di operai, sa che ogni lavoro ha la sua dignità, se svolto con passione e professionalità. Un cattivo dirigente o funzionario infedele non vale un addetto alle pulizie capace e onesto. un semplice postulato che rimetterebbe ordine in questo mondo dai valori rovesciati, dove è importante l'apparire invece dell'essere. Dove raccomandazioni e rampantismo si sostituiscono all'impegno e alle capacità. Sono scoccate le ore sedici, pochi impiegati si attardano negli uffici. Si dirige verso l'ufficio del colonnello Ferrettì, è atteso per discutere del suo futuro alla luce di quel cambio di mansione. Roberto, ex addetto allo smantellamento di siti nucleari, spinge il suo carrello nel corridoio della direzione del personale civile ed entra nell'ufficio del dirigente, dove fa mostra di se il tricolore blu bianco e rosso della bandiera di guerra coperta di medaglie, di un qualche reggimento d'elite dell'Armee. Ad accoglierlo non è il colonnello, che rimane seduto sulla sua poltrona dirigenziale a sei ruote, dietro l'ampia scrivania in noce intarsiato, bensì il Direttore in  persona che, a differenza del colonnello fasciato nella sua bella divisa verde oliva ornata da nastrini e riconoscimenti, sfoggia abiti civili di buona fattura.

R.(pensa): Strano, il Direttore in borghese di fronte alla bandiera di guerra del reggimento, un atteggiamento marcatamente informale.

E poi ancora:

R.(pensa): La bandiera di guerra nell'ufficio del colonnello anziché in quello del Direttore. Deve essere vero, dunque. Il potere, in questo centro, è completamente nelle mani del capo ufficio del personale, l'ineffabile colonnello Ferrettì.

Poi il suo sguardo scivola sulla bella scrivania di noce intarsiato.

R.(pensa): Noce Italiano, lavorazione artigianale di eccellente fattura indubbiamente Made in Italy, con buona pace della Grandeur.

Sulla scrivania nota due bicchieri sporchi che associa al consueto, palpabile odore di assenzio che aleggia in quelle stanze, volge lo sguardo alla vetrina di noce e cristalli antichi che fa pandance con la scrivania. La bottiglia verde con il collo argentato spicca, in posizione centrale e prominente, rispetto ad altri anonimi liquori.

R. (pensa): Compagni di bottiglia, i due ufficiali.

Il Direttore lo accoglie, invitandolo a sedersi su una delle sedie, Roberto sceglie quella che da le spalle alla finestra, in modo che il suo interlocutore si trovi con il sole negli occhi. Un punto a favore del neo addetto alle pulizie. Il Direttore, benché sia un consumato uomo d'armi, commette l'errore di attaccare da quella posizione strategicamente svantaggiosa, neanche fosse un tenente alle prime esperienze, di quelli che l'immaginario militaresco definisce "carne da cannone".

D. (parla):Lei, Rigamonti, deve decidere del suo futuro, ormai per noi non è niente di più di un 58,5. Come gli operai della Superàl che non contribuiscono appieno alla causa, lei è un peso.

Interviene il colonnello, dalla sua bella poltrona di pelle.

F. (parla):Suvvia, Direttore, il nostro Roberto ha sempre dato un valido contributo alla causa, vedrà che troveremo il modo, in questa situazione che si è modificata senza che sia colpa di nessuno, di impiegarlo ancora proficuamente.

Roberto non riusciva a credere a quello che stava udendo.

R. (pensa): Due ufficiali, due dirigenti da quindicimila euro e passa al mese che giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo.

Il Direttore insisteva con il suo attacco scomposto, la posizione fronte sole che Roberto gli aveva imposto con abile mossa, non lo agevolava e rischiava una figura barbina, nello inveire contro quel nemico di cui individuava solo i contorni, nel bagliore accecante del sole. Il colonnello Ferrettì si rese conto che quel cialtrone del Direttore rischiava di rovinare un copione attentamente messo a punto e decise che era opportuno  rischiare, saltando diversi passaggi. Intervenne come non avrebbe voluto, forzando i tempi e rivelando le sue vere intenzioni. Una cosa che lo contrariava molto, perche andava contro la sua natura.

F. (parla): Lo sa che noi conosciamo dei dentisti, a Thimisoara, in grado di fornirle ogni dosimetria di cui abbia bisogno. Pensi come sarebbe facile. Potrebbe licenziarsi dalla Armee e mettersi in proprio, dotarsi di partita iva. I nostri amici Rumeni le farebbero ottenere tutta la documentazione necessaria e le relative relazioni mediche, tutto in regola. Sarebbe ancora tra noi, alla dismissione dei siti e, da privato, guadagnerebbe molto di più. Non mi dica che un italiano grande e grosso come lei si lascia condizionare da un paio di Sihevert.

Roberto chiede il permesso di tornare al suo lavoro, doveva finire di pulire gli uffici che si affacciano sul corridoio della direzione del personale. In quella breve ma significativa conversazione con i suoi dirigenti, praticamente non aveva aperto bocca. Solo un generico impegno a pensarci. Esce dall'ufficio e spinge il carrello davanti alla segreteria particolare del Direttore, l'ufficio contiguo a quello del colloquio appena terminato. Saluta i militari riuniti davanti ad una delle scrivanie e si fa posto, per raccogliere il cestino della carta straccia in mezzo alle loro gambe. Nel far questo, infila una pennetta da 36 giga nella porta USB del pc di quei ragazzi. Subito un programma autoinstallante comincia ad aprire ed immettere in rete i file più disparati contenuti nella memoria della pennetta. Il plc della sala server si attiva per rispondere a quello che vede come un attacco esterno e sottrae energia a tutti i sistemi di sicurezza, per concentrarsi a bloccare i file che, a migliaia, vengono indirizzati verso la condivisione di tutti i client della base. Le telecamere installate in tutti gli uffici e in tutti i corridoi sono inattive per mancanza di attenzione del plc, che è programmato per privilegiare l'emergenza di un attacco da parte di hacher, alle normali funzioni di gestione. Contemporaneamente, l'ufficiale responsabile della sala server chiama il Direttore per in formarlo dell'emergenza. Questi si precipita nel bunker dei terminali seguito da Ferrettì  ed altri ufficiali addetti alla sicurezza. Roberto torna sui suoi passi e, davanti alla vetrina di noce e cristalli afferra senza indugio la bottiglia di Pernod. Estrae dalla tasca della sua tuta da operaio una siringa da insulina e, attraverso la fessura del tappo salva goccia, inietta nella bottiglia la soluzione di acqua distillata, acido nitrico e sali di polonio. Agita leggermente il contenuto, per favorire l'omogeneità della soluzione e la ripone nella vetrina. A quelle concentrazioni, il polonio ucciderà molto lentamente. Saranno necessari mesi o forse anni, durante i quali le condizioni generali dei due ufficiali decaderanno lentamente ed inesorabilmente. Soprattutto, una volta ingerita quella sostanza non potrà più essere espulsa da loro organismo. Non c'è antidoto o cura ed è anche praticamente impossibile che venga individuata, a meno di difficili ed improbabili ricerche mirate. Roberto si avvia verso gli spogliatoi e, fatta la doccia e indossati i suoi abiti, verso l'uscita. Squilla il cellulare nella sua tasca. Probabilmente il plc, impegnato a cancellare i file che la pennetta USB continua ad inviare, ha abdicato anche alla funzione di schermare tutte le chiamate di tutte le reti dirette verso la base. E' Marcella.

M. (parla): Amore! Quando verrai via dalla centrale, ti stiamo aspettando. Luca chiede del suo papà, non vede l'ora di farti vedere la scuola del paese che frequenterà quest'anno. Dice che gli hai promesso che ce lo accompagnerai ogni giorno con l'alfa romeo.

R. (parla): Una promessa che manterrò, stai certa.

M. (parla): Mio padre dice se puoi occuparti tu, di ritirare il primo lotto di viti arrivate al consorsio agrario, è il tempo di iniziare l'impianto dei nuovi vigneti. Sai che conta su di te.

R. (parla): Non ho mai deluso chi, con affetto e sincerità, ha fatto affidamento su di me. Mi sono battuto con tutte le mie forze, perché questo non accadesse. Non accadrà.

M. (parla): Dunque, quando tornerai tra noi? Non hai ancora terminato li alla centrale?

R. (parla): Dovevo finire un lavoro, perché non è bene che rimangano conti in sospeso. Per la memoria dei colleghi che si sono ammalati e sono morti, perché non accada ancora. Non è giusto fare finta di niente. Ora il mio compito è finito. Torno oggi stesso, aspettatemi. (fine della storia)

 

P.S. Chiedo scusa agli amici Rumeni, in particolare agli odontoiatri di Thimisoara e più in generale a categorie o singoli che possano sentirsi offesi. E' ovvio che trattasi di storia di fantasia.

 

 

 

 
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La vandemmia

Post n°75 pubblicato il 05 Luglio 2013 da ocsurte


Venne il tempo della vendemmia. Le colline intorno Nìmes, le campagne del pont du Gard, le cittadine di Narbonne e Carcassonne, tutta la Linguadoca si vestì dei colori che il sole di quel tardo settembre imprimeva ai grappoli di Fitou e Cabardes. I trattori con i pianali carichi di bigonge facevano la spola con le cantine, le aie erano apparecchiate da lunghe tavolate, vignaioli screanzati in cerca di carezze oscene baccagliavano  le donne sudate. Si celebrava il rituale della vendemmia, tra brocche d'acqua attinte dai pozzi a mattoni e bambini ubriachi di sole e di compagnia.  Un mondo antico di sapori e colori che riemergeva e resisteva, la modernità che cedeva il passo. Solo il distretto di Marcoule, non era in festa per la vendemmia. Messi di grano seminate e coltivate a bella posta per abbassare il contenuto di cesio137, erano date alle fiamme e le vaste spianate attorno alla centrale assumevano un aspetto spettrale. Campi anneriti e il vento che alzava nuvole di polvere nera e faville di brace, solo questo si poteva vedere dal villaggio deserto e lungo l'unica strada che conduce al sito nucleare. Roberto fa i suoi turni alla dismissione del reattore. Non ha con se la famiglia, Marcella e Luca sono alloggiati in un piccolo albergo a ridosso della costa, come sempre succede per le famiglie dei tecnici, quando viene il tempo degli incendi programmati. Per lui è suonata la campana dell'ultimo giro, dal primo di ottobre non gli verrà rinnovata l'idoneità al lavoro in zona controllata, c'è solo da aspettare i risultati delle analisi e la convocazione da parte della commissione medica. Casualmente, il fatto di essere separato dalla famiglia per la procedura degli incendi controllati, potrebbe essere anteprima di quello che accadrà dopo, quando il suo lavoro e la sua retribuzione cambieranno. Perderà la sua famiglia, certo, Roberto è convinto di vivere un'anteprima di quello che accadrà. Stranamente, però, in questi suoi ultimi turni di lavoro non percepisce più quella disperazione che lo aveva accompagnato per lunghi mesi. Quelle lacrime silenziose condivise con Marcella sotto le lenzuola, le parole dure e oscure, strappate dalla bocca di Adamo nel loro drammatico colloquio, l'ansia dell'aspettare una mossa dell'ineffabile colonnello Ferrettì, hanno ceduto il passo, dentro di lui, ad una determinazione ferrea e silente. Si direbbe, a vederlo, che sappia cosa fare del suo futuro. Non rappresenta più l'iconografia di un uomo sbalzato dagli eventi incapace di fronteggiare un imminente destino che stia per compiersi. Non sappiamo cosa accade dentro la sua mente; Potrebbe essere giunto al termine di quella strada dopo il quale niente più conta, essersi avvicinato a quel limite che si supera poi di slancio, con un atto di autolesionismo estremo che diventa un gesto sublime e risolutore. Oppure Roberto sa qualcosa e ha deciso qualcosa che non ci ha ancora detto. Per adesso lo vediamo aggirasi per la sala vasche, estrarre dal bavero della tuta di Tyvek un barattolino di quelli che si usavano per i negativi delle fotografie e raccogliere dei piccoli cristalli di polonio da un'inflorescenza di sali sopra ai mattoni di piombo della parete. (continua)  

 

 

 

 
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Roberto

Post n°74 pubblicato il 30 Maggio 2013 da ocsurte

 

Roberto era rimasto seduto sul ciglio della strada dove Adamo l'aveva gettato. Non pensava a rialzarsi, tanto le parole dello slavo, più della spinta che gli aveva dato, l'avevano colpito. Era avvolto in un turbine di pensieri, nella sua testa si accavallavano tali e tante sensazioni che nessuna riusciva a prendere il sopravvento sulle altre. Passarono altre macchine, dirette alla centrale. Tutti tirarono dritto senza prestargli attenzione, tanta era la paura di farsi coinvolgere.  La regola numero uno era di non derogare mai dai codici di comportamento. Diretti alla centrale senza fermarsi per alcun motivo, Roberto li vide sfilare uno dopo l'altro, i tecnici con la partita iva che il PLC accompagnava lungo il rettilineo di accesso. Si rialzò, infine, e andò a sedersi sull'alfa. Al suo turno di lavoro mancava ancora un'ora e mezza. Iniziò cosi ad analizzare nel caos dei suoi ricordi alcune di quelle frasi che lo zingaro aveva pronunciato, senza un ordine preciso, senza un filo logico che d'altronde per lui sarebbe stato impossibile trovare. Tentava di dare un senso a quella nebulosa di informazioni che gli erano pervenute. Si affacciò alla sua mente il sospetto che quei tecnici che lavoravano alla dismissione delle barre di uranio in centrale, fossero in realtà ex dipendenti della centrale stessa. Com'era possibile, si chiedeva, che dipendenti giunti al limite della esposizione consentita alle radiazioni, ritornassero a fare lo stesso lavoro da privati. Anche i lavoratori autonomi hanno l'obbligo di sottoporsi a dosimetria interna ed esterna. Nel loro caso non è l'amministrazione a fornirgliela, ma devono comunque sottostare alle prescrizioni di un esperto qualificato a cui devono inderogabilmente ricorrere. Come facevano, quegli uomini, a lasciarsi uccidere dalle radiazioni?

-Ferretti'

Si sorprese ad urlare seduto in macchina, infrangendo il cupo silenzio dei suoi pensieri. Certo, doveva essere quella la strada della disperazione. Doveva essere il colonnello a giudicare quando un uomo era chiuso all'angolo senza via d'uscita, quando questi non attribuiva più alcun valore alla sua stessa vita. Doveva essere lui a fare la proposta, una volta sicuro di ottenere il consenso. Nessuno, alla centrale, aveva mai dubitato del carisma del colonnello. In tanti anni, mai un passo falso, una battuta d'arresto. Aveva sempre raggiunto gli obiettivi che si era prefisso e, di fatto, il Direttore era sempre stato lui. Ora le parole di Adamo squarciavano di una luce sinistra l'oscurità che aveva avvolto fino a quel momento la mente di Roberto. Tornò a quella inusitata percezione di assenzio che il colonnello pareva si portasse dietro al suo passaggio, la associò alla bottiglia di Pernod sempre presente nella vetrina del suo ufficio. "Ubriacone", l'aveva apostrofato lo zingaro. Roberto ricordava, un altro tassello andava al suo posto.  Ma certo, un uomo minato dal vizio del bere, di questo doveva trattarsi. Un fegato spappolato non più in grado di metabolizzare l'alcool che per osmosi filtrava nella pelle attraverso i canali linfatici. Un uomo all'angolo, a suo modo. Un uomo che si ergeva, da condannato senza speranza, a nocchiere di altri uomini senza speranza, indirizzandoli sulla strada della disperazione senza ritorno. Certamente Roberto non poteva conoscere con precisione tutti i dettagli di questa sporca operazione. Non capiva ancora come facessero quegli uomini a ripresentarsi alla centrale come privati, una volta esclusi dal lavoro per raggiunta dose di radiazioni. Intuiva però quale dovesse essere la loro disperazione, un qualcosa di molto simile a quella in cui stava precipitando lui. Avrebbe anch'esso percorso quella strada? Questo si domandava. Sarebbe stato, di li a poco, pronto ad accettare la proposta di Ferretti'? Accese l'alfa e si diresse verso la sbarra, il suo turno iniziava tra venticinque  minuti, il PLC l'avrebbe fatto passare.  Vide ancora lo zingaro danzare attorno alla barra di plutonio, attraverso il quarzo che si apriva sulla spessa parete di piombo della sala vasche. Questi non alzò mai la testa dal suo lavoro, sicuramente sapeva di essere osservato. Roberto si chiedeva se il suo destino era oltre quella parete, se sarebbe andato a morire insieme a quegli uomini. Dentro di lui questa domanda non aveva ancora una risposta. In questi casi, è la disperazione che decide. (continua)

 

 

 

 
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Lo Zingaro

Post n°73 pubblicato il 23 Maggio 2013 da ocsurte

 

Roberto  parcheggia l'alfa nel posto assegnato sotto la palazzina e rincasa.   Incontra il sorriso stanco di Marcella,  vorrebbe avere la determinazione capace di sgombrare le ombre che angosciano quel cuore che ama, non può altro che stringerla in un abbraccio carico di silenzio.  Poi si scuote, dedica la sua attenzione al piccolo Luca, che gioca nella cameretta con un compagno, figlio di un collega della centrale.  Tutta la forza del suo carattere,  Roberto la impiega in questo; far si che Luca non respiri l'aria di disperazione che ammorba  quella casa. Probabilmente sarà costretto a lasciarli,  quando gli verrà imposto di abbandonare il suo incarico alla centrale. Non potrà fare fronte agli impegni, una volta che il suo stipendio verrà decurtato delle indennità derivanti dalla mansione. Molto presto verrà convocato in direzione e destinato ad un lavoro di ufficio per un periodo di sei, otto mesi, in quanto avrà raggiunto la dose massima di radiazioni ammessa dalla legge per i lavoratori esposti.  Contestualmente inizieranno piccole e sottili ritorsioni che la direzione attuerà per farlo sentire inutile, un peso per quella amministrazione pubblica che si vanta di essersi dotata di regole privatistiche. Forse verrà dimenticato per mesi in qualche ufficio, senza che nessuno si preoccupi di dargli un incarico. Magari verrà mandato a Parigi alla sede centrale di Areva per un qualche corso  di riqualificazione o colloquio. Magari quando si presenterà a Parigi, dopo dieci o quindici giorni di attesa, gli diranno che il corso non si farà e lo rimanderanno indietro. Ne ha sentite di storie, Marcello, di tecnici a cui era scaduto il periodo di esposizione professionale e del trattamento che veniva loro riservato. Questo è quello che lo aspetta, uno stipendio ridotto a 1200 euro e un susseguirsi di umiliazioni e vessazioni. La privatizzazione del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti aveva attecchito bene, non c'è che dire.  Alle urne tutti contenti a sostenere quelle forze che dicevano di combattere sprechi e privilegi. Questo il risultato: meno diritti per tutti, a parte dirigenti e burocrati, e mano libera ai capitani coraggiosi degli appalti, che lucrano sulla precarietà del lavoro.  Roberto quel pomeriggio nella palazzina avvertiva una sensazione nuova, a cui non sapeva ancora dare una fisionomia. Osservava Marcella intenta a preparare la cena, ascoltava i bambini assorti nei loro giochi. Avrebbe voluto parlare, trovare risposte.  L'incontro di quel mattino con il tecnico danzante davanti alle barre di plutonio, l'averlo riconosciuto come il suo primo maestro alla centrale, l'averlo inseguito poi sulla strada che conduce al villaggio, gli avevano lasciato dentro una agitazione di pensieri e sensazioni che gli correvano lungo la pelle. Non sapeva, se da tutto quello che gli era capitato quel giorno potesse nascere un qualcosa, una speranza, un sostegno a cui aggrapparsi. Roberto sapeva che doveva parlare con quello Slavo minuto ed energico che gli aveva insegnato i rudimenti del suo lavoro e che aveva inaspettatamente ritrovato aldilà di una spessa parete di piombo.  Quella notte, sotto le lenzuola, accarezzò a lungo i capelli biondi di Marcella.  Non le parlò.  Non volle confidarle pensieri a cui non osava attribuire il valore di speranze.  Tenne per se gli accadimenti di quel mattino e le mille domande che avrebbe voluto rivolgere allo zingaro. Accarezzò a lungo i capelli biondi di Marcella e si ritrovarono a fare l'amore come non accadeva da troppo tempo. In silenzio, con le lacrime che si confondevano sui volti.  Una dolcezza infinita.  Alle cinque del mattino Roberto è seduto in macchina, duecento metri prima della sbarra posta all'imbocco del rettilineo che conduce alla centrale. Non si illude di eludere le telecamere poste un po' da per tutto, non è affatto certo di sfuggire al controllo del PLC, ma sa che a quell'ora entrano i tecnici che lavorano privatamente alla centrale, tra questi deve per forza esserci il suo zingaro.

Adamo, sapevo che dovevi essere tu,  intorno a quella barra di plutonio. Ho riconosciuto i tuoi passi di danza. Quanti anni sono passati, quattro, forse di più?

  Dalla terza, quarta macchina che Marcello  fermava ponendosi imprudentemente in mezzo alla strada, ne era uscito un biondino asciutto e nervoso dai tratti spigolosi e i  baffetti sottili.  Lo zingaro non era per niente felice di incontrarlo, e non dissimulava affatto tutta la sua irritazione.

-Cristo, Marcello, cosa vuoi? Sai che non è permesso nessun contatto tra gli esterni e i dipendenti della centrale.

Adamo si muoveva a  scatti,  era nervoso e l'unica cosa che voleva era rinchiudersi in macchina e imboccare il rettilineo che, oltre la sbarra, conduce alla centrale. Pensava, poi, che il PLC l'avesse sicuramente visto arrivare, quindi aveva un tempo ben preciso per giungere al cancello di ingresso. Non era proprio il caso che si dedicasse alle rimpatriate.

-Almeno spiegami, Adamo, com'è che ti ho conosciuto dipendente di Areva e adesso ricompari cosi. Eri il mio caposquadra, hai insegnato il mestiere a tutti noi. Ti occupavi della nostra sicurezza, quando c'eri tu nessuno si è mai fatto male. Poi sei sparito, misteriosamente, non hai neppure salutato i colleghi. Avvenne in uno di quei periodi di fermo biologico, quando ti tolgono dalla squadra di intervento e ti sbattono in qualche ufficio. Dimmi, Adamo, come ci sei finito tra i tecnici con la partita iva?

Marcello incalzava Adamo. Era determinato ad ottenere delle risposte. Se c'era un modo per non incorrere nei tagli alle indennità a cui si stava avvicinando avendo quasi raggiunto la dose massima di radiazioni prevista dalla legge, lui lo voleva conoscere. Se, come sospettava, quel modo Adamo lo aveva scoperto, avrebbe fatto qualsiasi cosa, per indurlo a rivelarglielo.

-Fai domande che non dovresti nemmeno pensare. Cerchi strade che solo la disperazione può indurti a percorrere. Dovresti stare con Areva ad ogni costo,  dovresti farti i tuoi periodi in ufficio. Per te, credo, sarebbe la prima volta, dato che non sarai mai arrivato a 500 millisieverth. Certo, lo sai, ti tratteranno male, ti faranno sentire di troppo, inutile. Ti metteranno a passare le scartoffie, le scartoffie più inutili che troveranno.  Però per indurti ad imboccare quelle strade che tu ora cerchi di immaginare, ci vuole altro. Ci vuole che la tua disperazione sia tale da far perdere importanza alla tua vita, ci vuole che quello che devi salvare, non so, magari una casa per tua moglie e tuo figlio, diventi più importante della tua stessa vita.

Adesso Marcello tratteneva lo slavo per un braccio, come a scongiurare che quel fascio di nervi e muscoli potesse sfuggirgli portando con se le risposte che attendeva.

-Parlami di quelle strade, Adamo. Quelle della disperazione, intendo.

Infastidito dalla stretta al braccio e da quelle domande sempre più incalzanti,  Adamo si svincola con uno strattone. Sente di aver ormai oltrepassato la soglia per cui si debba avere del riguardo per qualcuno. Adamo è solo,  ferito nell'anima e minato nel fisico. Un uomo a perdere, che ha deciso di lasciarsi uccidere dalle radiazioni con l'unico obiettivo di lasciare una casa ad un figlio che ha avuto anni fa. Unica parentesi di luce in una vita trascorsa nell'oscurità. Non sa neanche dove si trovino, quel figlio e la donna che l'ha partorito. Non ha nessuna intenzione di mettersi a parlare di questo con Roberto. Lui, non gli deve niente, come non deve niente a nessuno e a se stesso. Solo quel figlio, conta.

-Non sono strade che si imboccano per libera scelta, queste. Non c'è alcuna domanda da presentare o modulo da riempire. Solo la disperazione, conta. Se la tua disperazione sarà buia, totale, priva di uscita, vedrai che quell'ubriacone del tuo colonnello se ne accorgerà e se ti riterrà veramente pronto, ti farà una proposta. Una proposta che tu accetterai.  Nessuno ha mai detto no a Ferrettì.

Detto questo, Adamo è più che certo che quella conversazione sia durata anche troppo. Molla uno spintone a Roberto sbattendolo per terra. Se ne vuole andare ora, scongiura il pericolo di essere ancora spiacevolmente trattenuto. Sale in macchina e si accosta alla sbarra,  percorrendo quei duecento metri dal punto in cui Roberto è ancora seduto sul ciglio della strada. Il PLC alza la sbarra,  Adamo si avvia sul rettilineo alla velocità costante di 70 Km/H. (continua)

 

 

 
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A volte ritornano (cit.)

Post n°70 pubblicato il 14 Aprile 2013 da ocsurte
 

 Marcello incrocia lo sguardo dei due tecnici. Questi spingono il carrello con la barra di plutonio raccolta in un semi guscio di piombo, non si curano di lui. Indossano maschere collegate agli autorespiratori che gli coprono il volto, quel che resta scoperto delle loro guance è percorso da rivoli di sudore. Le tute gialle in tyvek sono traslucide, tanto questo materiale non consenta la traspirazione e il corpo dei due uomini all'interno  si faccia fradicio. Alle spalle di quelli che spingono il carrello, Marcello intravede gli altri, intenti ad estrarre una seconda barra.  Lo colpisce il comportamento di quello che, sul bordo della piscina, è intento ad imbracare la barra, mentre il collega aziona il carroponte. Pare danzare con consumata grazia attorno alla sorgente, movimenti eleganti e al contempo rapidi. Semplici e risoluti. Si avvicina al plutonio con passo cadenzato, fa scivolare le fasce e senza arrestarsi torna sui suoi passi. Con il corpo proteso, la testa inclinata e le ginocchia raccolte. Si fa schermo al volto protendendo le braccia, il bacino sfuggente sotto il busto obliquo. Quando il pesante portone di piombo torna a chiudersi, Marcello si precipita all'oblo di quarzo che si affaccia sulla sala vasche e torna a cercare quel misterioso ballerino. Eccolo, lo vede scavalcare la sorgente più volte, balzi misurati sul bordo della piscina. Quell'uomo che danza intorno alla sorgente gli fa pensare ad un boscaiolo che alimenti il rogo degli sterpi con la sua forca. Si avvicina al fuoco crepitante con il volto girato di lato e allunga le membra per distogliere il corpo dal calore. Il tutto con estrema eleganza.  Marcello è certo di averlo conosciuto, quell'uomo. Il suo stile è inconfondibile, è certo di averci lavorato assieme, nei suoi primi anni al distretto di Marcoule. Riconosce il suo maestro, anche se questi è celato sotto l'autorespiratore e danza davanti ad un fuoco di 250 micro Sievert. Alla fine del turno di lavoro, Marcello è il primo ad essere chiamato dentro la doccia calda dal PLC che tutto vede e tutto regola. Improvvisamente accarezza l'idea di incontrarlo, quell'uomo. Il fatto che sia il primo a sottoporsi alla doccia calda, che per inciso non supera mai la temperatura di 9° centigradi, in modo che i pori della pelle si chiudano non facendo penetrare la contaminazione, gioca a suo favore.  Se la fortuna lo assiste, può riuscire a raggiungerlo alla stazione di lavaggio delle auto giù al villaggio, pensa.  Anche se questi certamente non vi risiede, non essendo un dipendente di Areva. Uscito dalla doccia, indossa i suoi abiti e si precipita al parcheggio. Avvia il motore della sua Alfa Romeo e, non appena l'unico cancello della centrale, guardato da quella portineria sempre deserta, si apre, esso si spinge a 140 KM/h sul rettilineo che porta al villaggio. Giunto alla sbarra, aspetta con trepidazione che questa si apra. Il motore è su di giri, come lui. Niente, il PLC non gli permette di passare. E' giunto alla sbarra troppo presto, ingenuamente pensava di raggiungere quel tecnico privato, di riconoscervi il vecchio collega. Squilla il suo cellulare nella tasca della giacca, è Ferrettì:"" Lo sappiamo che sei Italiano, Rigamonti, non c'è bisogno che tu ci offra queste prove di te. Sei espressamente tenuto a rispettare i tempi assegnati in ingresso e in uscita alla centrale, per l'ordinato svolgimento degli accessi. Attendi che si apra la sbarra e poi torna dalla tua famiglia, fai che non si ripeta una vicenda simile o dovremo prendere provvedimenti disciplinari.""  Marcello ripone il telefono nella giacca e, rassegnato,  attende che la sbarra si apra per potersi recare alla stazione di lavaggio. Gli pare di avvertire un penetrante odore di assenzio,  di certo è la sua immaginazione. (continua)

 

 

 
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