Quaderno a righe

Sul tempo


Un quarto d’ora, quindici minuti, novecento secondi…Era il mese di febbraio di una trentina di anni fa. Ero una ragazzina come tante: studiosa, acqua e sapone, pochi grilli per la testa. Banale, insomma. Le poche mattane sarebbero venute da lì a qualche mese. Una vita tranquilla: poche amiche, il grande amore ancora nel regno fatato dei principi azzurri.Faceva freddo, questo me lo ricordo bene. Gli inverni erano ancora quelli di una volta: gelidi e nebbiosi.In Ospedale si entrava alle diciannove, era da dopo l’Epifania che le mie giornate si erano adeguate a quegli orari. Della sua malattia sembrava che ne nessuno ne capisse qualcosa.- Continuiamo gli accertamenti, era la bugia pietosa.Lei lo sapeva, ne venni a conoscenza dopo molti anni. - Tanti piccoli grani di meliga nel fegato.Quella sera, lei fu insolitamente dura e brusca. Dopo meno di un quarto d’ora mi rimandò a casa in malo modo. Ero una figlia obbediente e feci quello che avevo sempre fatto. Tornai a casa, seppur arrabbiata.Il rituale della preparazione della cena: una minestra, se non ricordo male, la televisione accesa a far rumore di sottofondo.Una scampanellata quasi esitante.E chi sarà mai? Sono tornata da meno di dieci minuti.Mi incammino verso l’ingresso con piedi di cemento che rovinano il parquet tirato a cera. Saranno dieci metri, ma paiono diecimila passi.Di fronte a me il cappottone blu FIAT della divisa di zio. Non parla, ha gli occhi bassi. Gli vorrei sbattere la porta in faccia, ma succede solo nei film.Infilo, impietrita, il giaccone di velluto marrone e mi avvio con lui. Le lacrime congelate.Mormora con un fil di voce arrochita dalle ottanta Nazionali al giorno: - E’ stato il suo regalo, non lo dimenticare.Per anni me la sono ripetuta come un mantra quella frase.Un quarto d’ora, quindici minuti, novecento secondi…Forse avrei preferito passarli con lei.