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L'origine del controllo massonico-lobbistico sulla politica, la giustizia e l'imprenditoria italiane

Post n°1462 pubblicato il 17 Novembre 2016 da r.capodimonte2009
 

SECONDA PUNTATA

Dunque l’affermazione abbastanza recente di Tina Anselmi, sulla ineluttabilità del rapporto surrettizio tra poteri esclusivi e politica, tanto da portare alla negazione della democrazia, se queste potestà vi si inseriscono senza alcun limite, ci fa capire come la vicenda che legò Sindona a Calvi e poi a Gelli non sarebbe mai finita, se non con uno sviluppo ulteriore e forse ancor più nefasto: poiché, ci sembra di capire, è la democrazia, almeno il modello che ci siamo imposti, aldilà dei precisi e inossidabili principi costituzionali, il cui attentato si vuole replicare, che ne contiene i germi.

La controprova è nei fatti stessi che si svilupparono dopo la caduta dei tre interpreti principali, cioè Sindona, morto avvelenato, Calvi, morto impiccato e  Gelli, scappato via per molto tempo: al posto di questa triade, ecco spuntare i loro tre epigoni, che, in breve tempo, utilizzando gli stessi metodi, la truffa, il ricatto, gli intrighi e una rete di connivenze altrettanto letali delle precedenti, che poggiavano il potere sulle banche, sulla magistratura e sui mezzi di comunicazione, riportarono in auge, attraverso l’arricchimento delle burocrazie partitiche, non solo il metodo massonico-mafioso (perché la malavita organizzata entrò, per la prima volta, tra i poteri di controllo dello Stato), ma soprattutto il metodo predatorio delle risorse della p.a. Parliamo di Francesco Pazienza, Flavio Carboni e Umberto Ortolani. A tutti e tre si deve il “demerito” di aver continuato nella catena di S. Antonio che ha trasferito miliardi e miliardi di lire nelle tasche di segretari di partito, giornalisti, editori, banchieri, magistrati, generali, attraverso gruppi ristretti di criminali, tutti pronti a sorreggersi gli uni agli altri, in nome dell’interesse personale. Né costoro furono, ovviamente mai ostacolati da chi avrebbe dovuto vigilare sulle loro mascalzonate, perché, a loro volta costoro erano obbedienti alla massoneria o alla mafia o alla partitocrazia più degenere. Dal 1982 al 1992, quando la magistratura tentò di ripristinare la legge (con Tangentopoli), ma, in realtà, arrivò già tardi, perché le c.d. “logge deviate” si erano tutte immedesimate nel “berlusconismo” o nei partiti che fingevano di opporvisi, come il PDS-DS poi PD, entrambi reincarnazione dei privilegi che avevano alimentato la P2, lo Stato fu preda, ancora una volta, di queste trame insulse.

Non ci deve meravigliare che personaggi, all’apparenza ostili tra loro, come De Benedetti e De Mita, Scalfari-Caracciolo e Piccoli, Craxi-Longo-Spadolini e Rizzoli, abbiano intersecato le loro attività segrete, favorendosi l’un l’altro, all’ombra delle banche d’affari opportunamente costituite, come il Banco Ambrosiano e lo IOR. Insieme a una masnada di personaggi, per lo più legati al Grand’Oriente d’Italia, quali Pisanu, Binetti, Vitalone, Ledeen, Santovito,le stesse BR, a caccia di soldi facili,  i soliti servizi segreti, la Cia e l’ambasciata americana; ma anche Corona, Caracciolo, Scalfari, De Benedetti, lo Stato d’Israele, la Corte d’Appello di Milano e la stessa Cassazione, De Mita e Andreotti, e il Vaticano.

Tutto l’immane intreccio che l’Italia subì fino al 1992 è spiegato, punto per punto da Massimo Teodori, nel suo libro-inchiesta, P2, La Controstoria, dopo che, quale membro delle Commissioni Sindona e P2, ebbe la possibilità di analizzare tutte le carte delle inchieste, e quindi di non condividere che in minima parte le conclusioni cui esse arrivarono.

E non poteva che essere così, se pensiamo che la vasta operazione giustizialista, dopo la scomparsa anche di Pazienza e Ortolani, e dei maggiori leader di partito, la quale avrebbe dovuto portare alla rifondazione della politica, fallì miseramente, dopo che Berlusconi, per 20 anni, ebbe la ventura di rimpiazzare il vecchio sistema di potere, “lasciando fuori” una fetta non indifferente di questuanti, cioè la sinistra, che restò a bocca asciutta, dovendosi accontentare del potere locale, di cui da sempre  già sfruttava economia e territori. E consolidò il rapporto con la mafia, attraverso i suoi sgherri, i quali divennero i giustizieri di quei magistrati integerrimi, che tentarono di scoprirne le trame.  E come il suo maestro, Licio Gelli, l’uomo di Arcore si appropriò di un grosso gruppo editoriale (per il gran maestro era stato il gruppo Rizzoli con il Corsera), la Mondadori, e insinuò il vecchio giornale di Montanelli a suo cerimoniere.

Ma il fuoco covava sotto la cenere: all’interno stesso della creatura multiforme, qual’era Forza Italia, dove forze centrifughe e centripete, ad un certo punto, non digerirono più il metodo di accaparrarsi, da parte del potere berlusconiano, del meglio, lasciando agli altri le briciole. Così i Pisanu, i Verdini, gli Alfano, i Formigoni, i Lupi, i Cicchitto, i Castiglione, ecc. ricostituirono le logge (che non è un caso i magistrati abbiano chiamato P3-P4), e continuarono a spogliare il Paese.

Poi, quando Berlusconi cadde, a costoro si presentò l’occasione più ghiotta. Il modello fu resuscitato nel Partito Democratico, che sostituì la vecchia Forza Italia: la massoneria, questa volta, non rifece l’errore di “mostrare il volto”, lo tenne segreto, catalizzandone l’operatività attiva direttamente nelle istituzioni, con la garanzia delle grandi logge segrete americane: i burattinai, ancora una volta, ebbero esteriormente la faccia dei Napolitano, dei Monti, degli Elkan, dei Boschi, dei De Benedetti, dei Mattarella, mentre i burattini, i “ragazzi rottamatori” diretti dal capo-burattino, Matteo Renzi, iniziavano la nuova spartizione. La differenza col passato fu la nascita del M5S, che giunse a rompere le uova nel paniere, e ancora le rompe.

Chiunque affermi, perciò, che la Legge Anselmi considera tutto il lobbying un reato e si può arrivare, persino, all’interpretazione per cui chi abbia funzioni pubbliche non possa avere amici, scritta così è irragionevole, non è al passo coi tempi, non è neppure utile a migliorare l’onestà e l’efficienza della macchina statale, incrementando trasparenza, meritocrazia, controllo, non ha tutti i torti.

Intendiamoci, non apprezziamo affatto un sistema-Paese in cui le relazioni amicali e personali incidano sulla vita pubblica, quindi sulle istituzioni, ed anzi vorremmo il rovesciamento di questi equilibri di casta che immobilizzano ed “esclusivizzano” il potere. Ma non è con quella legge di trent’anni fa che questo risultato si potrà ottenere.

Urge allora implementare una norma che regoli i rapporti di rappresentanza tra i cittadini raccolti in gruppi di interesse, i rappresentanti eletti e gli ufficiali pubblici che rappresentano le istituzioni. Una legge sulle lobby e i gruppi di pressione dovrebbe aiutare a riconoscere la dignità dovuta a quello che poi è il nocciolo della democrazia, e cioè i legami tra cittadini e loro rappresentanti. Essa non deve indicare dettami etici come qualcuno vorrebbe ma, al contrario, dovrebbe rendere trasparenti situazioni normalissime che risultano invece criminogene proprio perché si sviluppano in contesti opachi e non regolati.

In sintesi, basterebbe una legge anti-corruzione che si articolasse in quattro punti, fondamentali:

1. creazione dell’albo pubblico dei lobbysti, cioè di tutte quelle persone fisiche, incensurate, e loro società/studi di appartenenza, che possono legittimamente interloquire con le istituzioni per rappresentare interessi e proposte, diversi da diritti soggettivi e interessi legittimi, di aziende e privati in genere (solo gli iscritti a questo albo, consultabile da chiunque, dovrebbero poter rappresentare cittadini e imprese in quelle sedi, un po’ come avviene per gli avvocati in giudizio ma senza lacci né esami: l’obiettivo è la pubblicità del ruolo, non la creazione di un mercato chiuso e illiberale);

2. pubblicità delle proposte e delle imprese/entità che il lobbysta rappresenta (per esempio sul sito internet);

3. annotazione obbligatoria e aggiornata, in un registro equivalente a quello anti-riciclaggio già in uso ai professionisti, di tutti gli incontri avuti con soggetti facenti funzioni pubbliche, da parte dei lobbysti. Tale registro verrebbe conservato e trasmesso alla pubblica autorità in caso di indagini o controlli;

4. divieto assoluto di donazioni o regali verso soggetti con funzioni pubbliche da parte di chi sia iscritto all’albo e dei clienti così rappresentati (peraltro, quest’ultima, regola ovvia e già sanzionata in vari modi a seconda delle fattispecie, ma qui più estesa e generalizzata).

Per concludere, con le parole di chi, oggi, afferma che le “riforme renziane” aspettavano da 40 anni, rispondiamo che è per metà vero e per metà falso, e il peggio è la parte vera, non quella falsa. La parte falsa è questa: se ne parla lasciando capire che gli italiani da 40 anni attendessero questa riforma, come assolutamente urgente e irrinunciabile. Ma  per la verità in questi 40 anni si sono visti molti cortei e manifestazioni per l'occupazione, per il salario, per la riforma sanitaria, per il diritto allo studio, ma non ricordiamo sinceramente grandi manifestazioni per la riforma della Costituzione. Anzi, nel complesso l'impressione è che agli italiani andasse bene questa Costituzione, tant'è vero che quando nel 2006 venne sottoposta al loro parere la riforma fatta all'epoca dal centro-destra, gli italiani la bocciarono. La parte vera è che effettivamente da 40 anni qualcuno aspettava questa riforma. Ma chi? Non certamente gli italiani. Da 40 anni aspettava qualcuno che si chiamava Licio Gelli. Esattamente di 40 anni fa è il suo Piano di Rinascita Democratica, preparato dallo schema di qualche anno prima e ritrovato tra lke sue carte, che effettivamente ricalca pienamente la riforma di Renzi. E quindi è vero che qualcuno aspettava questa riforma da 40 anni, ma quel qualcuno erano i poteri forti e quanti auspicavano una riduzione del peso degli italiani nella formazione delle decisioni. Era una riforma in funzione delle elites, insomma delle lobby più criminali della storia d’Italia! (ITALIADOC)

 
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