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Servi di Bruxelles, ora anche di Tel Aviv


E’ vero che questo nostro povero paese ha svenduto la propria sovranità (e la propria dignità) un po’ a tutti, ma in particolare alla banda di burocrati e banchieri che domina le strutture della UE, ma che l’avesse data via per un piatto di lenticchie come la primogenitura di Isacco (e mai paragone fu più congeniale!) allo Stato d’Israele lo ignoravamo. Pur se la processione e le litanie dei nostri politici, da destra a sinistra, si sono fatte numerose, tutti inginocchiati, e con in testa il kippah, a Tel Aviv a ripetere che il fascismo fu un regime boia, non tanto perché scatenò una guerra improvvida, ma perché diede fiato a leggi razziali da operetta, che, fino al 1943 permisero al 99% degli ebrei di levarsi di torno o di rifugiarsi tra le capienti braccia vaticane (le stesse sulle quali, tra l’altro, oggi sputano). Bene da ieri il governo israeliano ci ha anche costretto a bloccare un gruppo di attivisti diretti in Palestina per il Flytilla Day, un raduno pacifista a carattere europeo, inteso a stigmatizzare la totale mancanza di volontà del governo di estrema destra ebraico di sistemare la situazione interna dei profughi palestinesi, i quali sono ridotti alla fame, privati delle abitazioni e costretti ad emigrare con la forza, tanto si fa di giorno in giorno più piccolo il loro stato “autonomo”. Ovviamente sotto il silenzio assoluto di Washington, della UE, del Papa e, naturalmente, del nostro pedante e parolaio Presidente della Repubblica. Lo Stato d’Israele si è permesso si emettere una direttiva direttamente sulle compagnie di bandiera, compresa l’Alitalia, vietando il libero volo di queste persone, la cui unica colpa era di recarsi a Betlemme con alcuni progetti educativi a favore dei bambini palestinesi. In caso di diniego, le compagnie si sarebbero assunte la responsabilità del volo di rientro, unitamente a non meglio precisate “sanzioni”.Dietro le proteste di mezzo mondo, ma non dell’Italia, il governo israeliano ha risposto che questi attivisti (ovviamente tutti di sinistra) avrebbero fatto meglio a recarsi in Siria e in Iran a contestare i regimi dittatoriali colà presenti, tutti impegnati in dure repressioni, anziché fare i pappagalli presso l’unica democrazia presente in Medio Oriente, che consente ai propri cittadini il diritto di parola e ogni altra libertà. Tipo quella di volare…Bene, sarà il caso di fare qualche opportuna riflessione. Gerusalemme non è una democrazia nel vero senso della parola, perché nel xx° secolo ha potuto allargare i propri confini con le conquiste armate, né più né meno di quel che fece Hitler. Inizialmente i suoi confini furono tracciati con la riga e la squadra da un pool di personaggi molto interessati, dopo la fuga degli inglesi. Striscia di Gaza, Palestina, Alture del Golan, il Sinai, furono strappate ad altri Stati. Il Sinai fu restituito all’Egitto, ma il resto no. In Palestina e sulla Striscia di Gaza, dopo trent’anni di trattative è sorto una specie di governo autonomo palestinese, che non ha poteri se non quelli che determina Israele, compresa la competenza territoriale e i diritti dei cittadini, che, guarda caso, sono rinchiusi come in un ghetto, dove non è possibile neppure, e lo abbiamo visto, andare a visitarli. Per quanto riguarda poi i rapporti tra Israele e gli altri paesi del Medio Oriente, qui il discorso si fa pesante. Legato a doppio filo a Washington e alla Cia, Israele ha preteso che quest’ultima desse il via ad un piano di destabilizzazione contro i regimi pur filo-occidentali, ma ad economie chiuse al libero mercato, come Egitto, Algeria, Tunisia, Libia, Siria, Yemen, che rischiavano di strangolarla economicamente, a causa del surplus di esportazioni israeliane rifiutate da quei governi concorrenti, ma forti produttori di petrolio. Il petrolio è indispensabile per gli ebrei quanto il sole, data la mole del loro esercito, ma in cambio non hanno nulla da vendere e di soldi ne hanno pochi, la maggior parte li hanno spesi per gli impianti nucleari del Neghev. Né i loro confratelli di Wall Street, messi alle strette dalla crisi, riescono più a spedire pacchi di dollari come una volta. Ecco allora la necessità di “impadronirsi” di quelle economie e trasformarle secondo i piani del duo Obama-Netanyau. E come? E’ comprovato che la cosiddetta “Primavera Araba” è nata allo stesso modo che la “Primavera Serba” e che i capataz che oggi hanno processato o ucciso i vecchi leader come Gheddafi si sono formati quale “Movimento 6 aprile-Piazza Tahir”” presso le scuole dell’Alliance of Youth Movements. Si tratta di un’organizzazione creata nel 2008 presso il Dipartimento di Stato americano, sponsorizzata dalle grandi aziende e banche, per strutturare i social networks in senso rivoluzionario, fornendo poi capitali e armamenti, poi collegati agli interventi diretti Nato sui territori, “per abbattere i regimi ostili al libero mercato, obbiettivo di un disegno geostrategico per l’area mediorientale degli interessi per le risorse petrolifere”.E’ quello che abbiamo tratto da un libro molto interessante  di Alfredo Macchi, Rivoluzioni Spa. “Diverse fondazioni e organizzazioni private a Washington, Belgrado e Doha hanno offerto assistenza agli attivisti. Alcuni di loro sono stati addestrati da associazioni dietro le quali si possono intravvedere la Cia o altri servizi segreti” afferma Macchi. “Quasi tutte le rivolte sono state precedute da un’intensa attività di blogging sul web e su social networks, un mondo virtuale dietri cui si può nascondere chiunque. Alcune insurrezioni hanno seguito lo schema tattico della non violenza teorizzato da Gene Sharp, Robert Helvey e Peter Ackerman, altre sono degenerate in guerre civili. In quel caso le forze speciali inglesi, francesi e americane hanno addestrato e aiutato i ribelli, soldati e mercenari hanno combattuto sul campo… Sul tavolo oggi c’è un piatto molto appetibile che si chiama MENA, Middle East and North Africa e che raggruppa il 60% delle riserve mondiali di petrolio e quasi la metà di quelle di gas naturale. La Primavera Araba è stata per Washington l’occasione per sbarazzarsi di regimi legati in qualche modo alla vecchia concezione statalista e nazionalista dell’economia, eredità del socialismo sovietico in salsa araba…un largo mercato dove fare largo alle imprese americane. –Le rivoluzioni democratiche in Tunisia, Egitto e Libia e quelle ancora in corso in Siria e Yemen sono imbevute di spirito imprenditoriale- ha dichiarato il 3 dicembre 2011 il vice-presidente Joe Biden agli imprenditori americani pronti a investire nel post-rivoluzione. Sacrificare vecchi amici come Ben Alì, Mubarak, Saleh o vecchi nemici come Gheddafi e Assad, è stato giocoforza. Come sacrificare migliaia di vittime innocenti, come sta accadendo in Siria ed è già accaduto in Libia!Questo è quello che significa la democrazia israeliana avallata da quella americana: e, purtroppo, l’Europa cosa fa? Liscia il pelo alla Stella di Davide, sperando nelle briciole. Tanto dietro a tutto c’è e ci sarà sempre l’ombra dell’Olocausto, questa spada di Damocle, che gli interessi economici internazionali hanno imparato molto bene a manovrare, contro i cittadini europei, dopo due generazioni dalla caduta del nazismo.Un’Europa ormai condannata allo sfascio economico e morale, svenduta dai banchieri che l’hanno tradita, appunto, per un piatto di lenticchie. Di euro, volevamo dire.R.Scagnoli