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LATINOAMERICA

Post n°8 pubblicato il 02 Novembre 2005 da jazmaranbo

Managua, Nicaragua

12 Ottobre 1992

In occasione dei festeggiamenti per i 500 anni dalla scoperta dell’America

 

CANTI

DALLA

PERIFERIA

DEL MONDO

 

ABYA YALA (TERRA VERGINE E FECONDA)

1492-1992, cinquecento anni di resistenza indigena ed afroamericana.

Che cosa significa fare memoria di questi cinquecento anni?

I popoli testimoni chiedono la parola e si rifiutano di celebrare, sarebbe meglio e più giusto pentirsi della conquista.

I popoli testimoni, indigeni ed afroamericani chiedono la parola.

Alla domanda su quale sia il significato di questi 500 anni riaffermano il loro diritto di rispondere.

Cinquecento anni dalla scoperta o dalla conquista? Dall’incontro di civiltà o dall’invasione, dal genocidio, dalla spoliazione e dal saccheggio sconsiderato di tutte le ricchezze di una "Terra vergine e feconda" (ABYA YALA in lingua Kuna ed Aymara).

E’ il momento di guardare attraverso altri occhi, è il momento di guardare lo sfacelo di un continente attraverso gli occhi dei campesinos dal freddo della sierra andina, gli occhi dei tagliatori di canna da zucchero dei raccoglitori di caffè e dei lavoratori nelle piantagioni di banane che vivono tutt’ora in condizioni di schiavi nelle immense coltivazioni.

Attraverso gli occhi dei "Meninos de rua" (bambini della strada) vecchi in viso e nell’animo a soli dieci anni, gli occhi dei pochi indigeni superstiti da un sistematico etnocidio nella selva vergine Amazonas di un tempo.

Quanti occhi, sono milioni, occhi che mai hanno visto luce, bocche che mai hanno avuto voce.

Occhi stanchi e lacrimanti dall’esalazione di colla che serve ai bambini di strada a fermare per poco i morsi della fame.

Occhi rassegnati dei minatori dal respiro nero solido, occhi dei discendenti superstiti della tratta degli schiavi, occhi afro-americani delle grandi Antille che ancora fuggono dittature opprimenti.

Occhi spenti dei campesinos costretti a coltivare coca per sopravvivere sempre sotto il tiro di narcotrafficanti e guerriglia.

Occhi delle migliaia di "Desplazados", rifugiati che vivono in Centro e Sud America a cavallo di confini e frontiere, che fuggono violenze, repressioni e saccheggi e si trovano fuori della loro terra di origine senza alcun diritto, senza identità, senza nazionalità, si trovano ad essere, senza esistere per nessuno, e rischiando la vita in mano a trafficanti di uomini senza scrupoli fuggendo per disperazione verso il miraggio di facili ricchezze negli Stati Uniti.

Sono occhi questi che di fronte a tanta violenza si rifiutano di celebrare.

Noi con loro dovremmo fermarci e chiederci se sia giusto spendere migliaia di miliardi per commemorare festeggiando uno degli eventi più tragici della storia umana.

C’è, anche se calpestata, offesa e spogliata, l’altra faccia dell’America ancora da scoprire, da incontrare, da valorizzare e soprattutto da amare.

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