In a Silent Way

Amerika


« (...) nessun popolo, nessuna cultura - come nessun individuo - sono privi di colpe storiche; rendersi impietosamente conto dei difetti e delle oscurità di tutti, e di se stessi, può essere una proficua premessa di convivenza civile e di tolleranza, forse più degli ottimistici attestati di lode elargiti da ogni dichiarazione politica ufficiale. »Claudio Magris, DanubioDetesto le banalità. Mi irritano profondamente. Detesto chi si nasconde dietro banalità vestite a festa e impavesate. Detesto le generalizzazioni. Detesto chi le alimenta e le usa. Detesto gli stereotipi.Detesto questa dialettica fasulla tra antiamericanismo di "sinistra" e filoamericanismo fintoliberale.Che vuol dire "antiamericano"? Che vuol dire "filoamericano"?Che vuol dire che dobbiamo esser grati agli americani perché ci hanno liberato dal giogo nazifascisti (come se i comunisti jugoslavi non ci avessero pensato da soli; come se Berlino non fosse caduta per mano sovietica; come se Auschwitz non fosse stata liberata dai russi; come se inglesi fossero andati per passeri; come se la Resistenza europea non fosse esisitita; come se gli americani l'avessero fatto a gratis; come se...)?E che vuol dire "americani"? Anche Malcolm X era americano. E se è per quello lo erano anche Allen Ginsberg, Cassius Clay, Frank Zappa ed Henry Fonda. Tutta gente che non sta propriamente in cima ai sogni degli amerikani di casa nostra.E allo stesso modo, dall'altra parte, facile (e magari con più di qualche buona ragione) avercela con i Bush, il fondamentalismo religioso e il mito dell'individualismo per cui l'unico orizzonte è il cielo (ma volto in senso diverso, è un orizzonte che può essere ed è stato anche interessante: Easy Rider si aggira da queste parti). Ma l'America è solo questo?Certo, Bush parla in nome dell'America, coi modi e la mentalità di un americano; ma Mussolini era italiano, e se qualcuno mi apostrofasse in quanto compatriota di Berlusconi, più di qualche ragione di incazzarmi ce l'avrei.Ma poi, che vuol dire? L'invettiva, le manifestazioni, così come le elegie acritiche, le apologie, hanno piena cittadinanza nel nostro sentire e nel nostro modo di esprimerci. Ma fermarsi a questo, ridurre tutto a questo è di una desolazione e di una povertà spirituale allucinante.Davvero siamo a questo? Davvero qualunque riflessione politica, sociale, interculturale, si arena quasi subito su questo? Davvero ci schieriamo l'un contro l'altro armati dietro a parole d'ordine precostituite, schematiche - sempre quelle, sempre le stesse, da una parte e dall'altra?Davvero ciò che uno dice è letto e ridotto subito, d'acchito allo schema americano-antiamericano? E davvero ciascuno parla e fa parlare questo schema? Davvero prima ci scegliamo la parte e poi la interpretiamo, nelle nostre parole, nei gesti? E la ragione critica dove l'abbiamo lasciata?Io, come credo tutti, ho la mia personale America. Lo dissi al tempo dell'attentato alle torri, lo ridadisco ora.La mia America è l'America di Bruce Springsteen, di Haight Ashbury, dell'Uomo dei sogni, di Ray Charles e di Jackson Pollock. E sfido gli amerikani di casa nostra a condividere queste attitudini. Così come li sfido a dimostrare che esse non rappresentano l'America. Una sua parte, certo; minoritaria, sicuro. Ma America, per quanto ciascuno di questi luoghi dello spirito coniuga a suo modo, e con piena dignità, consapevolezza, impegno e senso della rivendicazione, il Sogno Americano."Guarda cosa succede fuori nelle stradeC'è una rivoluzione, facciamo la rivoluzione (...)Noi siamo i volontari dell'America"Così cantavano i Jefferson Airplane nel 1969. E con loro, milioni di altri americani. Che hanno da dire dunque i rivoluzionari di casa nostra? E i propugnatori del verbo neocons? Niente.Perché più di trent'anni dopo Michael Moore è americano, parla da americano agli americani, e ancora milioni di americani gli danno ascolto. E allora?«Anch'io canto l'AmericaSono il fratello scuroMi mandano a mangiare in cucinaQuando vengono gli ospitiMa io rido e mangio bene e divento piu' forteDomanimi siedero' al tavoloquando vengono gli ospitiNessuno allora osera' dirmi 'vai a mangiare in cucina'Inoltre,vedranno quanto sono belloe si vergognerannoAnch'io sono l'America»Langston HughesLa mia America è l'America di Robert Redford e Martin Scorsese. Dei Grateful Dead e David Crosby. Di Elvis e Steven Spielberg. Di Aretha Franklin e Scott Fitzgerald. Di Martin Luther King e Bill Clinton. Di Frank Lloyd Wright e Howard Hawks. Di John Ford e Alan Lomax. Della Carter Family e di Furore. Della Pop-Art e Anne Tyler. Di Norman Rockwell e Simon & Garfunkel. Di Robert De Niro e dell'Allman Brothers Band. Di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. Dell'uomo sulla Luna e dei REM. Di Cole Porter e Clint Eastwood. Di Tom Hanks e Bob Dylan. Di Harry e Sally e di Fred Astaire. Di Larry Bird e dei Boston Celtics. Di John Wayne e Moby. Dei Blues Brothers e di Woody Allen. Di Cary Grant e Jimmy Stewart. Di Frank Capra e Santana. Dei Fratelli Marx e di Walt Whitman...Alla faccia di tutti i filoamericani e degli antiamericani di casa nostra.