Signora mia

Post N° 26


Da quando le tecnologie hanno fatto la loro comparsa nell’epoca moderna, ferve il dibattito sulla loro essenza. Lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov ha immaginato  nel suo racconto “L’uomo bicentenario” (da cui è stato tratto anche un film con Robin Williams) un robot che sviluppa
creatività e personalità, presentandolo come un inconciliabile paradosso.Mi permetto di non essere d’accordo con il grande Asimov: in base alla mia pluriennale esperienza le macchine hanno eccome una personalità, che nella maggior parte dei casi è anche spiccatamente carogna.Ricordo da sempre inquietanti episodi di macchinari di vario genere che si ribellano con gioiosa malignità ai miei voleri. Frugando nella memoria posso citare, in ordine più o meno cronologico:-         La Cinquecento blu di mia madre. Deliziosa macchinetta tuttora funzionante, aveva un orologio biologico assai preciso, che le permetteva di capire quando e quanto mia madre era in ritardo per accompagnarmi a scuola. Proporzionalmente a tale ritardo, la 500 metteva in atto due strategie: se era lieve, si limitava a far aprire il tettuccio durante la marcia, possibilmente nei giorni di pioggia. Se eravamo in ritardo serio, si rifiutava semplicemente di partire.-         La televisione del soggiorno. Aveva un’abilità che rasentava la preveggenza nel perdere la sintonia di Italia Uno il giorno in cui trasmettevano l’ultima puntata di un cartone animato. Ho saputo che fine toccava a Candy Candy quando già andavo all’università, e ignoro tuttora se Gargamella sia riuscito a farsi la bramata zuppa di Puffo.-         Il mio primo walkman. Consumava una quantità indecorosa di batterie, per scaricarsi sistematicamente all’inizio della mia canzone preferita. Anzi, il perfido non si spegneva, ma dimezzava la velocità di svolgimento del nastro, per cui ricordo i miei brani del cuore dai 13 ai 18 anni come una lunga sequenza di cupe voci al rallentatore.-          Il mio primo telefono cellulare. Aveva l’aspetto e il peso di un citofono ed era potentissimo. Aveva campo dappertutto, anche sottoterra. Dappertutto, ma non in camera mia. Ho trascorso due anni della mia vita a cercare un punto dove ci fossero almeno due tacchette di campo, tra la cima dell’armadio e il retro della testiera del letto.-         Il mio primo computer portatile. Non solo aveva indubitabilmente una personalità, ma era anche una personalità schizofrenica. Funzionava un giorno sì e due no, prediligendo per le sue pause i momenti in cui ero più nervosa. Ad esempio, un mese prima della mia laurea, quando ero nel delirio degli ultimi capitoli della tesi, si rifiutò di lavorare se connesso alla rete elettrica. Funzionava solo in modalità batteria. Dovevo scrivere per due ore, farlo ricaricare per mezzo pomeriggio, scrivere per altre due ore, rimetterlo in carica e così via. Ovviamente, se portato in riparazione, riprendeva a funzionare in rete.-         La mia prima stampante. Ha fatto il suo dovere egregiamente all’epoca della tesi di laurea (almeno lei). Quando alcuni mesi fa ho tentato di stampare una versione intermedia della mia tesi di dottorato, mia ha improvvisamente abbandonato. Lì ha mostrato di essere bastarda dentro, perché non si è limitata a smettere di funzionare: prendeva i fogli, simulava di lavorarci sopra, li tratteneva e me li restituiva perfettamente bianchi. Tuttora esegue perfettamente i movimenti della stampa, con il piccolo dettaglio che in realtà non stampa.-         La mia seconda stampante (in prestito dalla mia amica Francesca). Disperata perché dovevo consegnare la copia della tesi il giorno dopo, ho chiesto a Francesca di prestarmi la sua stampante. Ho scoperto che ha una personalità alcolista: 48 euro di cartucce. La sbronza di inchiostro la rendeva poco lucida: stampava solo le pagine pari. Non ho ancora capito come, ma in qualche modo sono riuscita a convincerla a produrre anche i fogli dispari: per stampare 350 pagine ci sono volute 8 ore (notturne, ovviamente) e tre risme da 500 fogli.-         Lo scaldabagno. Nuovissimo, comprato in un inspiegabile attacco di generosità dalla mia padrona di casa, si è rotto il 13 febbraio 2005. Ricordo perfettamente quella data perché era due giorni dopo la scadenza della garanzia, e perché faceva  così freddo che nevicava a Napoli.-         Il lettore mp3. Comprato appositamente per le sua notevoli capacità di registrazione, si è spento dopo 5 minuti che avevo cominciato ad intervistare un’importante critica letteraria per un’appendice della mia tesi. Ovviamente non me ne sono accorta che due ore dopo, a intervista finita. Ho dovuto supplicare la mia miglior nemica, che si trovava lì, di cedermi la sua registrazione. Aspetto che mi chieda un rene da un momento all’altro.Delle due l’una: o sono molto più imbranata di quanto sospetto, o effettivamente le macchine si stanno rivoltando contro di me approfittando dei miei momenti di maggior tensione. Queste sciagure succedono solo a me o non sono sola nella guerra –persa- per tenere testa alle tecnologie? Fatemi sapere, per favore.