Signora mia

Di convegni e contegni


Una decina di giorni fa ho partecipato per la prima volta ad un convegno di letteratura, ad Ischia. Un’esperienza interessante, più che per i risvolti accademici, per quelli umani: fuori dalle aule universitarie professori, dottori e dottorandi cambiano.Il convegno si è svolto nel Castello Aragonese di Ischia, un
posto a dir poco fiabesco. Organizzare in un luogo così bello un evento in cui numerosi relatori fanno variazioni infinite intorno ad uno stesso tema ha dei pro e dei contro. Da un lato si bendispongono i dottorandi cooptati  a partecipare per fare pubblico (se proprio tocca presenziare, meglio in un castello a  Ischia che in qualche lurida aula dell’Orientale). Dall’altro si rischia che i medesimi dottorandi cooptati, attraversando l’isola per giungere al convegno, vi arrivino con lo stesso brio dei galeotti verso le cave di pietra. O non arrivino proprio più, perché casualmente caduti nel mare trasparente di Ischia. Una volta arrivati al convegno, si scopre che il dibattito di chiusura del giorno è stato anticipato all’inizio dei lavori. Ottima mossa per rompere il ghiaccio: costringere a parlare gente che non ha ancora capito perché è lì. La moderatrice si guarda intorno, invita a prendere la parola. Segue assordante silenzio. Lei comincia a guardare nella mia direzione, dicendo soavemente: “Invito a parlare anche chi si occupa di altre aree...- continua a guardarmi- ad esempio la letteratura araba...”. Pausa. Mi sentirei più osservata solo se avessi  una freccia fluorescente puntata verso la testa.Mi tocca. Devo alzarmi e andare al microfono. In confronto a me i galeotti di cui sopra camminano facendo la coreografia di Singing in the rain. Biascico qualcosa. Dopo qualche altra stentata domanda, il convegno ha ufficialmente inizio.L’atmosfera è inizialmente sonnacchiosa, come in ogni conferenza che si rispetti. C’è però un interessante fenomeno: le sedie (da giardino, in plastica) tendono a schiantarsi a terra sotto il peso degli occupanti. Il primo a cadere è un tondo professore d’inglese che resta anche incastrato nei relitti della sedia (esattamente davanti a me). Pochi minuti la moderatrice elogia una professoressa: “Ringraziamo la prof. X”. Pramm! La prof. X precipita al suolo. Sarà questo il peso della cultura di cui si sente tanto parlare?A quel punto temiamo tutti di schiantarci, per cui il convegno prosegue in un’atmosfera vigile: tutti monitorano l’equilibrio del proprio fondoschiena, adoperando incidentalmente l’alto livello di attenzione per ascoltare anche i relatori. Dopo quattro ore di faticosi bilanciamenti sulle sedie, arriva il premio: cena su una terrazza del castello, a picco sul mare. Bello da togliere il fiato. I gabbiani passeggiano sui tavoli. Le zanzare banchettano. I relatori torinesi si commuovono davanti ai pomodori al forno. Nel corso della cena si chiacchiera, si scherza. Piano piano si palesa la tipica  perversione del dottorando: parlare male del proprio tutor, possibilmente seduto al tavolo accanto. Dopo la cena, alle 21, è prevista una sorta di lezione-concerto. La cena finisce alle 23 inoltrate. Ci si appresta a lasciare il castello, quando arriva la notizia che il professore è pronto e scattante per la sua lezione musicale.Con molto slancio ci si accomoda. In effetti la lezione è interessantissima, peccato che metà del pubblico stia cecando dal sonno; l’altra metà già dorme. Un professore alto e sottile come un insetto-stecco, misteriosamente caduto dalla sedia nel pomeriggio, ronfa beato, stendendo il suo metro e novanta sulla fragile sedia da giardino.. Si capisce come abbia fatto a schiantarsi anche se è più leggero di me. Quando parte la musica salta in aria, si guarda intorno e simula un colpo di tosse, come a dire “Non dormivo, macchè, riposavo gli occhi” Il giorno dopo (40 gradi all’ombra) il mare ammicca beffardo ai prigionieri del castello. La vostra webmater, relatrice nel pomeriggio, ostenta sicurezza e progetta piani di fuga. L’atmosfera del convegno intanto si fa elettrica: l’arsura del giorno più caldo dell’anno è infuocata da un animato dibattito sul teatro francese del ‘600. Appassionante. Fortuna che la cena in terrazza mitiga gli animi a colpi di bicchieri di vino bianco. Il giorno seguente mi scampo l’ultima mattina di convegno: l’aliscafo delle 8 da Ischia a Napoli usa come aria condizionata il vento marino.Torno a casa morta di fatica, scottata dal sole preso nel tragitto dall’hotel al castello, contenta dell’esperienza e arricchita di una nuova consapevolezza: in fondo i professori universitari sono esseri umani come tutti. Solo più pesanti.