Signora mia

Delle cose turche -II parte-


Quando noi quattro europee entriamo nella sala grande dell'hammam, per un attimo il chiacchierio si interrompe. Le siriane ci squadrano, ci fanno i raggi X- non che ci voglia molto, siamo tutte nude!- . Ci sentiamo osservate. Anche un po’ derise, in verità.Seguo la direzione degli sguardi e mi rendo conto del fatto che siamo le uniche nella sala a non essere completamente depilate. O meglio: la svizzera e la tedesca non lo sono, Eleonora e io abbiamo addirittura lo slip addosso a nascondere chissà che truci segreti. Scappo verso la stanzetta del vapore per sottrarmi a quelle occhiate di riprovazione (mi verrà poi spiegato che in Siria quasi tutte le donne, sposate e in genere in età fertile, si depilano lì, quindi noi, ai loro occhi, siamo delle zotiche e/o delle poco di buono).                       Domenico Morelli, Il Bagno Turco (XIX sec.), Museo di Capodimonte
La stanzetta è annebbiata dal vapore che esce a fiotti da un buco in terra. Una volta superato lo choc è quasi piacevole. Peccato che non ci si fili nessuno. Non ci fanno posto per farci sedere, non ci passano l’acqua fresca. Ci sistemiamo solo quando restiamo sole.Anzi, no. In un angolo c’è una donna, a occhio e croce sui 40 anni, che finalmente si dimostra amichevole. Chiacchiera, scherza in un arabo strano. E' stranamente sguaiata, mentre le siriane sono sempre piuttosto composte, anche nude in una stanza da bagno. Ci rilassiamo, anche se il mio cervello mi telegrafa “Non ti pare strano che questa qui ci prenda in considerazione?”. La tipa ci fa qualche domanda. Quando scopre che siamo italiane, si allarga in un sorriso: “Ho lavorato in Italia! Bel paese, ma i clienti non erano granchè. Poco tempo, pochi soldi”. Ride e ammicca. Il cervello mi telegrafa un campanello d’allarme. Intanto lei vede il piercing all’ombelico di Eleonora. Stupita, lo studia da vicino, poi le dice: “Bello. Ma con questo si guadagna di più?”Io sono in allarme rosso. Quella boccalona della mia amica non trova di meglio da chiedere che: “Guadagnare facendo cosa?”Mentre la donna si contorce dalle risate, trascino via Eleonora, spiegandole che l’unica che ci ha degnato di considerazione nell’hammam è stata una prostituta, tra l’altro nemmeno siriana ma algerina (ovvero, doppiamente discriminata dalle altre ospiti del bagno). Più in giù nella scala sociale dell’hammam non possiamo stare.Rientrate nella stanza grande e bollente, ci accoglie il gelo. Continuano a guardare le cespugliose fanciulle mitteleuropee con noi - che, per inciso, se ne fregano. Sembra che abbiano trascorso nel bagno turco tutta la vita -.Una bambina si avvicina, guarda, ride e scappa via. Una, due, tre volte. La quarta mi secco, la afferro e le faccio quello che dalle mie parti si chiama cazziatone (solenne sgridata, urlata),nel mio damasceno più stretto.Funziona. Mi sono guadagnata un po’ di rispetto. Con una certa goffaggine, mi sfrego e strofino. Dalla mia pelle fresca della doccia di poche ore prima esce di tutto. Mai sentita così pulita. Mi sembra di starmi strappando via brandelli di carne.Arriva il momento di uscire. Torniamo nella sala dove ci siamo spogliate per asciugarci e rivestirci.Lì realizzo con un moto di autentico orrore che gli slip che ho tenuto addosso sono saturi di vapore condensato: inservibili. Maledicendo il mio pudore, indosso i jeans a pelle. Sensazione inedita. Tanto è giusto il tempo di tornare a casa, sono solo un paio di fermate d’autobus, mi consolo.Uscita nel rosso tramonto damasceno, non ho altra compagnia che Eleonora (nelle mie stesse condizioni) e la città vuota. E’ Ramadan, sono TUTTI a casa a rompere il digiuno. Niente autobus. Niente taxi. Niente negozi aperti. Niente di niente.Mestamente mi incammino verso casa, con la pelle splendente, i jeans che pizzicano e  un nuovo appunto mentale: mai più fuori casa senza due paia di mutande.