Signora mia

Della primogenitura


A mio parere l’umanità, dopo la divisione maschi-femmine, si compone di quattro grandi gruppi: primi figli, figli di mezzo, figli ultimi e figli unici. Non c’è scampo. Ognuno aderisce a uno dei gruppi e passa la vita a lamentarsene: i primogeniti si sentono responsabilizzati troppo presto, gli ultimi nati si lamentano di non essere presi sul serio, quelli di mezzo si sentono trascurati, i figli unici troppo al centro dell’attenzione. Da appartenente al club dei primogeniti, denuncio la nostra eterna condizione di cavie: da quando nasciamo, siamo gli oggetti della sperimentazione di genitori inesperti. La temperatura del bagnetto, i rimedi naturali per la diarrea, la sorpresa  del primo dente caduto, il nervosismo del primo giorno di scuola, la tragedia di un brutto voto, il dramma del morbillo, la zozzeria del primo fidanzatino… sono tutti eventi epocali per una giovane mamma poco esperta del mondo, da vivere con apprensione sulla pelle del figlioletto. Al secondo figlio ci si rende conto che i bambini sopravvivono anche senza sette maglie di lana; al terzo si entra nell’ordine di idee per cui un brutto voto è meno grave di una gamba rotta.In generale, gli ultimi figli vivono molto più liberi e tranquilli: le battaglie le hanno fatte già i fratelli maggiori. A quindici anni ho fatto grandi scene con i miei, che volevano rientrassi a casa in tempo per mettermi a letto con le galline. A quindici anni, mia sorella tornava all’una di notte e le sembrava perfettamente normale.Il momento in cui si lascia la felice condizione di figli unici per diventare primogeniti, scalzati dal trono da qualcuno più giovane, è sempre traumatico. Nel mio caso, la fine dell’età dell’oro è stata annunciata da catastrofi naturali. La nascita della mia prima sorella è stata allietata da una tormenta di neve – scoppiata mentre i miei correvano in ospedale, dieci giorni prima del termine previsto ­­–; quando è nata la seconda - alle sette del mattino - sono stata svegliata da un tuono che ha fatto tremare la casa. In un certo senso però il diventare primogenito ti apre gli occhi: capisci presto che la vita è piena di fregature. Ricordo ancora perfettamente  quando è nata la mia prima sorella. Io avevo cinque anni, ed ero stata preparata per mesi al lieto evento dai miei genitori, preoccupati che sviluppassi istinti omicidi verso l’intruso. Per circa sette mesi sono stata coinvolta nei preparativi, abbacinata da racconti meravigliosi su come sarebbe stato bello avere un fratellino con cui fare giochi selvaggi, ripresa ogni volta che facevo i capricci “perché devi dare l’esempio al fratellino”.Dopo il parto di mia madre, ho trascorso un paio di settimane da una zia, dove mi ha chiamato mio padre per annunciarmi il lieto evento. Ricordo quella telefonata come se fosse ieri. Afferro la cornetta e mio padre mi dice con voce di festa: “Ti è arrivata una sorellina!”.“Ah”. Davanti ai miei occhi si sgretola l’immagine di un fratellino biondo che spinge una carriola su cui sono regalmente seduta. Mi riprendo in fretta dalla delusione: in fondo basterà che lo faccia la sorellina. Basterà mettersi d’accordo. Dopo un istante di silenzio, chiedo a mio padre: “Passamela”.E a cinque anni, tra le risate fragorose di tutti, ho capito che  è raro che la vita ti dia quello che ti aspetti.