Signora mia

Del sopravvivere al proprio matrimonio- un anno dopo


Un anno fa di questi tempi non credevo che avrei mai superato la compulsione per vestiti, veli, bouquet, segnaposti e quant’altro.  Mi pareva  di starmi per sposare da una vita, e che né prima né dopo avrei mai fatto altro se non essere a un passo dalle nozze.  Dopo il grande evento, la prima settimana i piedi mi portavano da soli al negozio di bomboniere. Per i primi tre mesi mi sono fermata davanti a ogni vetrina di abiti da sposa. Ho da poco smesso di guardare il sito www.sesonrosedesign.com. Pian piano però la sensazione di dovermi sposare ogni settimana prossima si è affievolita,  aiutata dal sollievo di fronte alle amiche in procinto a loro volta di sposarsi: fuori dal tunnel del tulle, a differenza loro. Sabato sarà il primo anniversario (da trascorrere nell’amena località di Boscotrecase al matrimonio-fotocopia del nostro, ma questa è un’altra storia) e, anche se il quadro generale si è attenuato, alcuni ricordi restano vividi: - la sposa così devastata dalla tensione da dover essere tirata giù dal letto alle sette, dalle quattro donne che dalle cinque e mezza volteggiano per la casa spandendo fiori e spazzando pavimenti immacolati; - la parrucchiera che pettina meravigliosamente la sposa, fa finta di pettinare sorelle e testimone e pensa bene di restare chiusa in bagno cinque minuti prima di uscire per andare in chiesa; - la sposa che a cento metri dalla chiesa si rende conto di cosa sta andando a fare e si emoziona come una quindicenne al primo appuntamento; - sorelle e testimone che singhiozzano a cappella in un angolino della chiesa, avendo almeno il buongusto di vergognarsene un po’; - la sposa che, sotto il velo a 40 gradi all’ombra, scopre nuovi significati della parola ‘sudario’; - lo sposo che guarda sopraffatto dalla paura la sposa giunta accanto a lui e, invece di baciarla su una tempia e donarle il bouquet come d’accordo quasi glielo tira appresso;  - lo sposo che, nonostante i 40 gradi all’ombra,  tiene la mano della sposa per tutta la cerimonia; -  gli invitati che si avventano sul buffet (si saprà più avanti che una zia si è tolta la panciera per tuffarsi meglio nella mischia); - gli sposi che prima del ricevimento fuggono nella loro stanza per dieci minuti. Di rovente passione? Più o meno. Mentre la sposa si butta sul divano alla ricerca di forze per le successive otto ore lo sposo si asciuga la camicia con il phon. Si danno anche un bacetto, comunque; - sorrisi e baci a profusione, poi i novelli sposi si guardano e si chiedono: “Ma era un invitato tuo?” “Boh, penso di no”; - la nonna che punta il ragazzo  di sorella1, palesatosi per la prima volta a tutta la famiglia,  e gli chiede a bruciapelo: “Ma voi chi siete?” “Er… sono un collega di sorella1” “Collega o qualcosadipiù?”;- il lancio del bouquet più feroce a memoria di donna. Si potrebbe andare avanti a lungo, meglio terminare qui con il ricordo più smagliante, che ancora risuona nelle orecchie della webmater, quasi profetico nella sua tentata sovrapposizione di ruoli: - h 12, interno della chiesa ormai vuota. Ci sono solo gli sposi, che hanno salutato e abbracciato amici e parenti,  ora in attesa della coppia felice fuori sul sagrato. Anzi no, non sono soli: con loro c’è la madre dello sposo, che ha aspettato di restare con loro senza tutta la folla. Si avvicina al figlio, lo bacia; si avvicina alla di lui moglie, sua nuora da non più di venti minuti, le sorride e le dice solo e soltanto:“Jo… TI PIACE IL MIO VESTITO?” Jo sospira. C’è qualcuno che ancora non ha capito chi è la sposa.