dodecalogue

La classe operaia va in paradiso


18.012.006Sveglia alle 6 del mattino, sarò pronto per partire: il lavoro mi attende.La notte mi voto e mi arrevoto.Alle cinque sono già sveglio, resto un’ora con gli occhi chiusi sperando di rubarmi un altro minuto di sonno. Vado e vedo una fabbrica che al primo sguardo sembra essere vuota, solo ombre nella pioggia, ho molto freddo. Orfano di padre, costretto a lavorare; licenziato meno di un mese fa, due figli a carico. Quaranta euro al giorno, dalle sette sino a quando qualcuno (un uomo con la testa bianca dal forte accento casertano), non ti dice che è finita con un ghigno soddisfatto: “Vatti a scopare la tua donna ora, ammesso che ti siano rimaste le forze”, sembra dire. Non c’è niente di meglio, niente del caricare ammassi di tabacco, le cosiddette “balle”, con quel tanfore continuo, sotto, dentro il naso. "Non ti preoccupare" mi dicono, "tra un po’ non sentirai più nulla…sì perché ti assuefi". Bella soddisfazione. "Non guardare l’orologio altrimenti non ti passa, non pensarci". Il capo ci chiama, lì sopra siamo in troppi: "Due di voi vadano a caricare i camion". Fuori continua a piovere, anzi ha cominciato a grandinare, tira vento, fa freddo, ma noi stranamente abbiamo caldo e infatti togliamo la maglia. Un bicchiere di caffè per tre, quattro di noi. "Vuoi fumare?" "Di giorno non lo faccio mai...ma dammi, che resta?" Fumare, parlare, aspettare poi mangiare, respirare l’aria insana che pare entrarti nel panino: la tua colazione. Nessuno di loro ha la mascherina, mi dicono “Credi cambi qualcosa? la puzza ti entra lo stesso”. "A casa non mi danno nulla, e a me non piace chiedere nulla, cosa dovrei fare? chi mi dà da mangiare?" Orgoglio, disperazione, stanchezza. "Hai visto scherzi a parte ieri sera? Guarda che gran culo che c’ha quella". Le fischiano. Ne arrivano altri, tutti fermi, in pausa, a godersi quel breve, soave spettacolo.sconnessione nona: la mia gente non ha certo un nome, non si trova sui libri di storia, a volte è perduta, a volte arrabbiata o allegra o sola o ubriaca. La mia gente non è originale, non parla con parole strane, ma cammina per strada e sogna e lavora, confusa e inquieta e contorta.