amore

Post N° 28


Pinocchio una fiaba?Collodi probabilmente si rivolterebbe nella tomba sapendo che l’opera da lui scritta è rimasta nell’immaginario collettivo una fiaba per bambini. Lui un adulto attento alle dinamiche educative, lui che attraverso Pinocchio ha riassunto nel suo libro la metodologia educativa più attenta di qualunque pedagogo americano o americanista divenuto famoso attraverso idiozie da laboratorio (Dewey, solo per citarne uno).Vengo subito al dunque, non critico l’opera di Collodi, racconto ciò che più mi affascina del “suo” Pinocchio.Inizio da Geppetto l’artista falegname geniale. Dalle sue mani, ricche di esperienza e di creatività, nasce il burattino di legno. Tanto Geppetto è geniale, tanto ha esperienza, tanto ha creatività, tanto è alla ricerca della perfezione che riesce a produrre qualcosa di eccezionale. Non un semplice oggetto, come ne aveva fatti tanti e belli, perfetti, deliziosi, ma un oggetto “animato”, tanta era la passione che lo aveva coinvolto. Geppetto è riuscito a imitare il gesto creativo di DIO, ma imperfetto, legato a qualcosa che nemmeno il suo genio gli permetteva di varcare: un burattino di legno animato. Qui Collodi pone un giudizio preciso. Per quanto l’uomo può raggiungere la perfezione di quello che fa e di quello che è, arriva ad un punto invalicabile, un punto che assomiglia molto alla creazione divina, ma che vi si ferma sulla soglia.Eppure, quella soglia è possibile varcare ma come? Lasciando che il divino vi passi. Occorrono due cose: l’offerta da parte di un altro – la Fata Turchina -, e la decisone del soggetto ad aderirvi – Pinocchio vuole e decide di “lasciarsi” diventare un bambino vero. Così l’uomo diviene realmente se stesso, accogliendo un altro (decisone e rapporto).Ma c’è un altro elemento che Collodi pone in modo geniale nell’opera di Pinocchio: il Grillo Parlante. Il Grillo Parlante, ossia la coscienza. Nella cultura moderna la coscienza, normalmente, è intesa come qualcosa che – una vocina – viene “dal di dentro” di noi stessi; qualcosa che ci appartiene naturalmente e che sta dentro di noi. Collodi rovescia questa cultura e dice no: la coscienza è qualcosa che riguarda l’intimo di noi stessi ma che nasce “dal di fuori” di noi stessi. Questo è il vero colpo geniale di Collodi. La coscienza, la propria autocoscienza è nel rapporto con un altro. Un altro che ci corrisponde nel giudizio circa il desiderio di felicità, di giustizia, di bellezza. Un altro che dice a me chi sono. In questo rapporto con un altro si forma la coscienza - quindi non è innata ma posta – che certo può incorrere in errore, ma metodologicamente pone le fondamenta per una strada da percorrere all’interno di una direzione e meta.